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Medinews
11 Novembre 2013

TIVOZANIB VS SORAFENIB NELLA TERAPIA TARGET INIZIALE DEI PAZIENTI CON CARCINOMA RENALE METASTATICO: RISULTATI DI UNO STUDIO DI FASE III

Il primo agente target migliora la sopravvivenza libera da progressione, ma non quella globale, e possiede un profilo di sicurezza diverso da sorafenib. Tivozanib è un inibitore tirosin-chinasico potente e selettivo dei recettori 1, 2 e 3 del fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGFR 1, 2, 3). In questo studio di fase III, i ricercatori statunitensi, in collaborazione con colleghi europei e russi (in Italia, il gruppo degli Ospedali San Camillo e Forlanini di Roma, diretto da Cora N. Sternberg ), hanno comparato efficacia e sicurezza della terapia target iniziale con tivozanib vs sorafenib in pazienti con carcinoma renale metastatico. I pazienti con carcinoma renale metastatico a cellule chiare, sottoposti a precedente nefrectomia, con tumore misurabile e trattati precedentemente o no per il tumore metastatico, sono stati randomizzati a uno dei due agenti target. Nello studio, pubblicato sulla rivista Journal of Clinical Oncology (leggi abstract), non sono stati inclusi i pazienti che avevano ricevuto una precedente terapia target anti-VEGF o con inibitori di mTOR (mammalian target of rapamycin). Endpoint primario era la sopravvivenza libera da progressione (PFS), valutata con revisione indipendente. In totale, sono stati inclusi 517 pazienti, 260 randomizzati a tivozanib e 257 a sorafenib. Nell’intera popolazione, la PFS è risultata più lunga con tivozanib che con sorafenib (mediana 11.9 vs 9.1 mesi; hazard ratio [HR] 0.797, IC 95%: 0.639 – 0.993; p = 0.042). I 156 pazienti (61%) che hanno mostrato progressione del tumore durante il trattamento con sorafenib sono passati a tivozanib (‘crossover’). L’analisi finale di sopravvivenza globale (OS) ha indicato un trend verso una sopravvivenza più lunga nel braccio di sorafenib, rispetto a tivozanib (mediana 29.3 vs 28.8 mesi; HR 1.245, IC 95%: 0.945 – 1.624; p = 0.105). Eventi avversi più comuni con tivozanib che con sorafenib erano ipertensione (44 vs 34%) e disfonia (21 vs 5%), mentre quelli più comuni con sorafenib che con tivozanib erano reazione cutanea mano-piede (54 vs 14%) e diarrea (33 vs 23%). In conclusione, tivozanib ha offerto una migliore sopravvivenza libera da progressione, senza influenzare la sopravvivenza globale, e un profilo di sicurezza diverso da sorafenib nella terapia target iniziale del carcinoma renale metastatico.
Nell’editoriale, pubblicato sullo stesso numero del Journal of Clinical Oncology (leggi), Marc B. Garnick del Beth Israel Deaconess Medical Center, Harvard Medical School di Boston, ribadisce che grandi passi sono stati fatti in questi ultimi anni nella terapia del tumore renale avanzato o metastatico, grazie soprattutto all’introduzione degli inibitori tirosin-chinasici in virtù di una fattiva collaborazione tra tutte le parti interessate e a favore del paziente, ma rimangono dubbi sull’osservazione di un miglioramento di PFS, come endpoint surrogato di OS, per l’approvazione di questi agenti, dato che molti dei nuovi farmaci non offrono un beneficio di OS, eccetto temsirolimus. L’autore ha analizzato lo studio di Motzer e colleghi che ha valutato l’efficacia di tivozanib vs sorafenib nel trattamento di prima linea dei pazienti con carcinoma renale metastatico. Tivozanib ha potenziali vantaggi sugli altri inibitori tirosin-chinasici perché è un potente inibitore selettivo di VEGFR 1, 2 e 3 a bassissime concentrazioni e di altre chinasi, come c-Kit e PGFR-beta. Lo studio, tuttavia, non è riuscito a evidenziare, secondo Garnick, la potenziale efficacia di tivozanib. In sintesi, non è stato permesso alla maggior parte dei pazienti arruolati (soprattutto in Europa orientale) di passare (‘cross-over’) al trattamento con sorafenib o altri inibitori tirosin-chinasici, dopo fallimento di tivozanib, come invece è accaduto per la sequenza inversa. E questo a causa della mancata disponibilità del farmaco, convertendo lo studio in una comparazione tra sequenza (sorafenib-tivozanib) e singolo agente (tivozanib). A questo proposito, le differenze di OS a favore del braccio con sorafenib non sono state valutate adeguatamente ed è stata osservata una peggiore OS con tivozanib, rispetto al braccio sorafenib-tivozanib, oltre a una mortalità più alta nel braccio con tivozanib. In definitiva, l’autore ha evidenziato nell’editoriale aspetti non chiari e di confondimento, come ad esempio il ‘cross-over’ al momento della progressione della malattia, la disponibilità e l’utilizzo di terapie per il ‘cross-over’ e la valutazione del beneficio di PFS con esami radiografici arbitrari, e conclude che uno studio, che porti all’autorizzazione al marketing di un nuovo farmaco e adotti come endpoint primario la sopravvivenza libera da progressione, non può mostrare nel suo disegno alcuna debolezza che possa compromettere, anche minimamente, l’interpretazione della sopravvivenza globale.
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