Editoriale di Massimo Colombo, professore di gastroenterologia dell’Università di Milano, che analizza le conoscenze acquisite su questa terapia e fornisce considerazioni utili per il trattamento futuro dei pazienti con epatocarcinoma
Approvato dall’Emea nel 2005 per l’uso nel carcinoma renale in stadio avanzato, sorafenib ha dimostrato la sua sostanziale attività sull’epatocarcinoma in uno studio pubblicato nel 2006 sulla rivista Journal of Clinical Oncology (leggi abstract originale). I risultati di due studi clinici di fase III, il primo condotto in America, Europa e Austral-Asia (SHARP), il secondo su pazienti asiatici dell’area del Pacifico, hanno confermato ampiamente la sua efficacia, dimostrando un significativo prolungamento della sopravvivenza e del tempo alla progressione della malattia. Al contempo, nei due studi gli effetti avversi non erano più frequenti nei pazienti sottoposti a trattamento con sorafenib, rispetto a placebo, e, ove si verificavano, non implicavano nella maggior parte dei casi l’interruzione della terapia. Secondo il prof Colombo ciò presuppone, in concomitanza alla diffusione del trattamento, anche la necessità di una maggiore sorveglianza post-marketing per assicurarsi che non si aggiungano ulteriori rischi nei pazienti con tumore al fegato. Con un’incidenza di 11.500 casi all’anno negli Stati Uniti, un numero assoluto di 625.000 casi di diagnosi di tumore del fegato, in aumento anche per l’invecchiamento della popolazione, ed un costo per paziente di 32.907 $, il trattamento dell’epatocarcinoma in stadio avanzato richiede una maggiore attenzione, soprattutto riguardo la selezione dei pazienti. Con un totale di 5.400 $ al mese il costo del trattamento con sorafenib, d’altra parte, è molto alto e si aggiunge a quello base annuale per i pazienti con cancro. Questa osservazione è particolarmente importante se si considera che la maggior parte della popolazione affetta da questa malattia si trova in Africa e Asia, le aree più povere del pianeta, dove si registra più della metà dei decessi per carcinoma epatico (in totale sono 625.000 all’anno). Quindi, Colombo nel suo editoriale pubblicato in Gastroenterology (vedi) conclude che una classificazione molecolare del tumore al fegato potrebbe portare a una selezione più accurata dei pazienti e alla previsione della risposta alla terapia. Anche lo sviluppo di terapie adiuvanti potranno aiutare a controllare la mortalità per questa grave malattia. Recentemente è inoltre iniziato l’arruolamento per uno studio multicentrico di fase III (STORM) che dovrà valutare la capacità di sorafenib di ridurre il rischio di recidiva intra-epatica precoce nei pazienti con epatocarcinoma sottoposti a resezione curativa o ablazione locale.Liver Cancer Newsgroup – Numero 5 – Maggio 2009