domenica, 1 ottobre 2023
Medinews
20 Marzo 2013

REGORAFENIB, INIBITORE MULTICHINASICO STROMALE E ONCOGENICO CON POTENZIALE ATTIVITÀ SUL CARCINOMA RENALE

Studi di fase III non sono suggeriti, tuttavia la ricerca ha permesso di identificare probabili marcatori per la selezione dei pazienti che possono trarre beneficio dal trattamento

La prognosi del tumore non operabile del rene è tuttora infausta, con una sopravvivenza a 5 anni del 23% per la malattia allo stadio IV. L’introduzione delle terapie target, specificamente quelle che hanno come bersaglio il recettore del fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGF), quello del fattore di crescita derivato delle piastrine (PDGF) e le vie mTOR, ha cambiato significativamente l’approccio verso i pazienti con carcinoma renale non operabile. Molti studi randomizzati hanno confermato la loro attività sul carcinoma renale a cellule chiare, con un miglioramento della sopravvivenza libera da progressione (PFS) e globale (OS), evidenze che hanno portato alla loro approvazione nel trattamento del tumore inoperabile. Questi agenti includono gli inibitori tirosin-chinasici, sorafenib, sunitinib, axatinib e pazopanib, gli inibitori chinasici, temsirolimus ed everolimus, e l’anticorpo monoclonale bevacizumab (in combinazione con interferone-alfa). La revisione pubblicata sulla rivista Current Oncology Report (leggi abstract) evidenzia che si può tuttavia sviluppare resistenza, attraverso meccanismi che bypassano le vie bersaglio delle terapie target. Regorafenib (BAY 73-4506) è un nuovo derivato della di-fenilurea con potenziale attività anti-tumorale sul carcinoma renale, che inibisce oltre ai recettori target di VEGR e PDGF anche altre chinasi associate a vie alternative dell’angiogenesi e coinvolte nella resistenza agli agenti che hanno come target VEGF (angiopoietina e recettori, via di FGF l, fattore di crescita dei fibroblasti). I ricercatori del Cambridge University Hospitals NHS Foundation Trust, basandosi su uno studio clinico aperto, controllato, non randomizzato, di fase II, hanno osservato che l’efficacia di regorafenib nella terapia di prima linea del carcinoma renale inoperabile sembra comparabile a quello di altri agenti target, con un tasso di risposta oggettiva del 39.6%, rispetto al 31% di sunitinib e al 30% di pazopanib (o al 3% di bevacizumab), ma più basso di axitinib (56%). Lo stesso studio ha portato alla luce alcuni dati interessanti sui marcatori biologici, che possono avere implicazioni predittive o prognostiche: la somministrazione di regorafenib ha alterato le concentrazioni plasmatiche di numerosi biomarcatori, sono aumentati quelli appartenenti alla famiglia del VEGF, è diminuita la concentrazione di VEGFR-2 solubile e si sono modificate anche quelle di CK18M30, TIMP2 basale e TIE solubile. Altro dato interessante riguarda il meccanismo di resistenza agli agenti target: l’interazione tra periciti e cellule endoteliali coinvolge PDGFRbeta e TIE2, inibiti da regorafenib. Tuttavia, la sperimentazione di questo agente target in studi clinici di fase III, in pazienti con questo tumore, non è suggerita per gli effetti tossici più gravi di quelli osservati con altri inibitori delle tirosin-chinasi. Regorafenib è tuttora in fase di valutazione nella terapia di prima e seconda linea del tumore del colon-retto e uno studio di fase III ha esaminato l’efficacia e la sicurezza di questo agente nel tumore stromale gastrointestinale (GIST) metastatico o inoperabile, in progressione dopo fallimento di sunitinib e imatinib. Ulteriori valutazioni di regorafenib in studi di fase III, dunque, dovrebbero esplorare la capacità del farmaco di inibire i meccanismi di fuga dal trattamento anti-angiogenico in popolazioni di pazienti che presentano ‘upregulation’ di angioietina e FGF.


Renal Cancer Newsgroup – Numero 2 – Febbraio 2013
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