Uno studio durato 14 anni e finanziato dalla Swedish Cancer Society, dal Swedish Research Council e dall’Istituto Nazionale Svedese per il Cancro ha dimostrato una riduzione della mortalità per cancro alla prostata dopo screening del PSA (prostate-specific antigen) sulla popolazione svedese. Gli autori però affermano che il rischio di eccesso di diagnosi è evidente e il numero di casi da trattare è equivalente a quello osservato con lo screening del cancro alla mammella. Il beneficio dello screening per il cancro alla prostata è tuttavia favorevole rispetto ad altri programmi di prevenzione. Nei Paesi sviluppati il tumore prostatico è una della principali cause di morte da neoplasie maligne nel sesso maschile. Una delle strategie per diminuire il rischio di morte per questa patologia è appunto lo screening del PSA, tuttavia il rapporto rischio – beneficio è ancora dubbio e ampie discussioni rimangono aperte. A dicembre 1994, 20000 uomini nati tra il 1930 e il 1944 sono stati randomizzati in rapporto 1:1, mediante programmi computerizzati, dai registri di popolazione per partecipare allo screening del PSA ogni 2 anni (n = 10000) o entrare nel gruppo di controllo non soggetto a screening programmato (n = 10000). I maschi nel primo gruppo sono stati invitati allo screening fino all’età massima mediana di 69 anni (range: 67 – 71) e solo le persone che mostravano elevazione del PSA sono state sottoposte a ulteriori esami, come ispezione rettale digitale o biopsia prostatica. L’endpoint primario dello studio era la mortalità cancro-specifica, analizzata secondo il principio ‘intention-to-screen’. Lo studio è ancora in corso per gli individui che non hanno ancora raggiunto il limite massimo di età stabilito per lo screening del PSA. L’articolo, pubblicato nella rivista The Lancet Oncology (
leggi abstract originale), è il primo tra i report pianificati nello studio e mostra l’incidenza cumulativa cancro-specifica e la mortalità calcolata al 31 dicembre 2008. I ricercatori della Sahlgrenska Academy dell’Università di Göteborg in Svezia hanno escluso dalle analisi 48 uomini in ogni gruppo, per morte o emigrazione prima della data di randomizzazione o ancora per cancro alla prostata prevalente. Nei maschi randomizzati allo screening, 7578 dei 9952 (76%) hanno eseguito il test almeno una volta. Durante il follow-up mediano, 1138 uomini nel gruppo di screening e 718 nel gruppo di controllo hanno ricevuto diagnosi di cancro alla prostata, con conseguente incidenza cumulativa di cancro alla prostata del 12.7% nel primo gruppo e dell’8.2% nel secondo gruppo (hazard ratio 1.64, IC 95%: 1.50 – 1.80; p < 0.0001). La riduzione assoluta del rischio cumulativo di morte per cancro alla prostata dopo 14 anni di follow-up è stata dello 0.40% (IC 95%: 0.17 – 0.64): dallo 0.90% nel gruppo di controllo allo 0.50% nel gruppo sottoposto a screening. Il rapporto percentuale di morte per cancro prostatico nei maschi sottoposti a screening rispetto al gruppo di controllo è stato dello 0.44 (IC 95%: 0.28 – 0.68; p = 0.0002). Dallo studio si desume infine che per prevenire un caso di morte per cancro allo prostata è necessario porre 12 diagnosi e invitare allo screening 293 uomini (IC 95%: 177 – 799).