16 Dicembre 2008
ISTAT, BUONA LA SALUTE DEGLI STRANIERI IN ITALIA
Una fotografia dei principali aspetti che caratterizzano la vita della popolazione straniera in Italia – per quanto riguarda la salute e l’accesso ai servizi sanitari – è stata scattata dall’Istat. L’Istituto di Statistica ha studiato i dati raccolti nel 2005 e li ha sintetizzati in un rapporto che diventa uno strumento fondamentale per adeguare “l’offerta dei servizi alla domanda, ai bisogni di salute specifici di questa popolazione”. Il campione complessivo dell’indagine comprende circa 60mila famiglie. Le persone straniere intervistate sono state circa 3.500, con un questionario in lingua italiana. Dall’analisi dei dati “emerge un quadro di una popolazione straniera residente con bisogni di salute abbastanza simili a quelli della popolazione italiana e mediamente in migliori condizioni di salute, in linea con un profilo di migranti di prima generazione che si spostano prevalentemente per progetti di lavoro e che dunque portano con loro un capitale di salute che ne fa un gruppo mediamente più sano” si legge nel rapporto. E ancora: “Ciò potrebbe anche essere in parte spiegato da quanto rilevato in altri studi sui migranti, secondo cui le persone che non godono più di buona salute tornano al loro Paese d’origine, anche per le maggiori limitazioni nell’accesso ai servizi, spesso non imputabili al Paese ospitante, ma più probabilmente alla scarsa conoscenza delle possibili opportunità di assistenza per problemi di comunicazione o di burocrazia”. Che la salute degli stranieri sia migliore emerge sia misurando con indicatori di percezione (l’80,3 per cento dichiara di stare bene o molto bene, contro il 71,8 per cento tra gli italiani, standardizzando per età) sia analizzando le informazioni raccolte sulle malattie prevalenti (22,8 per cento gli stranieri con almeno una malattia nelle quattro settimane precedenti l’intervista, contro il 27,4 per cento tra gli italiani). Ma la situazione non e’ uguale per tutte le etnie. Sono state osservate “situazioni di criticità che andrebbero approfondite e monitorate”. E’ il caso, a esempio, degli stranieri di origine marocchina, “che evidenziano rispetto ad altre nazionalità e agli stessi italiani una peggiore salute percepita, in particolare quella di tipo mentale. Peraltro sembrano confermarsi, anche tra gli stranieri, le condizioni di salute meno favorevoli nelle persone di status sociale più basso”. La domanda di salute, e quindi il ricorso ai servizi sanitari, evidenzia complessivamente un minore accesso rispetto a quello degli italiani, a parità di età, sebbene con alcune peculiarità: “Sono più contenute le prestazioni sanitarie, come visite mediche e accertamenti diagnostici (il 18,4 per cento, contro il 24,6 per cento per gli italiani, si è sottoposto a una visita medica nelle quattro settimane precedenti l’intervista, e il 6,8 per cento, contro il 9,6 per cento per gli italiani, ad accertamenti diagnostici), in particolare quelle di tipo specialistico che si dimezzano nella popolazione straniera, con un minor ricorso allo specialista privato”. Il tasso di ricovero e’ più basso per gli uomini stranieri rispetto a quelli italiani e va nell’analoga direzione per le donne quando si escludono i ricoveri per parto. E’ invece più frequente il ricorso ai servizi di emergenza: sono più diffusi gli accessi al Pronto Soccorso in particolare per gli uomini stranieri (il 7,0 per cento, rispetto al 4,2 per cento degli italiani nei tre mesi precedenti l’intervista, si è presentato al Pronto Soccorso), anche per “la maggiore incidentalità” che si registra in questa popolazione. Nel percorso della maternità le donne straniere si rivolgono in misura nettamente maggiore delle italiane all’assistenza di un consultorio pubblico durante la gravidanza (38,3 per cento, contro il 13,7 per cento). “Con riferimento alla prevenzione e alla tutela della salute in generale, emergono infine comportamenti che evidenziano differenze di genere a svantaggio degli uomini più marcate rispetto a quelle che si riscontrano nella popolazione italiana: la quota di uomini stranieri che non controlla la pressione arteriosa e’ pari al 39,1 per cento (tra gli italiani e’ pari al 22,0 per cento), tra le donne straniere si riduce al 31 per cento (tra le italiane è pari al 17,3 per cento)”. E ancora: “Agli screeening per la prevenzione dei tumori femminili ricorre al massimo la metà delle donne straniere nelle fasce d’età raccomandate (51,6 per cento il pap test e 42,9 per cento la mammografia), ancora più contenuta tra le donne di origine marocchina e albanese il ricorso al pap test (una donna su tre), mentre per le italiane i tassi superano il 70 per cento (rispettivamente 71,8 per cento e 73,1 per cento). E anche in questo caso si evidenziano disuguaglianze nell’accesso, a svantaggio delle donne straniere di più basso status sociale”. In conclusione “emerge quindi una sostanziale equità del Sistema Sanitario Nazionale, sebbene siano ancora da rimuovere alcune limitazioni nell’accesso alla popolazione straniera, che si concentrano in particolare nella prevenzione dei tumori femminili e più in generale nella prevenzione, nel ricorso alle prestazioni di tipo specialistico e in parte nel percorso nascita, in modo da preservare il patrimonio di salute di questa popolazione. Molte di tali limitazioni potrebbero trovare semplice soluzione in una più efficace comunicazione che tenga conto delle specificità culturali e sociali della popolazione straniera residente”.