Il trattamento farmacologico può limitare la progressione del tumore nei pazienti con infezione cronica, specialmente nella popolazione asiatica positiva all’antigene ‘e’ dell’epatite B (HBeAg). Nei pazienti con infezione cronica di epatite B, l’interferone è stato usato con l’intento di sconfiggere l’infezione attraverso la negativizzazione dell’antigene HBeAg nel sangue, con o senza siero-conversione all’anticorpo verso HBeAg (anti-HBe). Ma la discussione riguardo gli effetti dell’interferone sullo sviluppo del carcinoma epatico è ancora aperta. Ricercatori giapponesi dell’Università di Okayama hanno condotto una meta-analisi su 8 studi, che hanno incluso in tutto 1303 pazienti (2 studi clinici randomizzati controllati e 6 non controllati, con 533 pazienti sottoposti a trattamento con interferone). Lo studio, pubblicato nella rivista Journal of Gastroenterology (
leggi abstract originale), ha evidenziato che l’effetto preventivo del trattamento era significativamente in favore dell’interferone (differenza rischio -5.0%; IC 95%: da -9.4 a -0.5; p = 0.028). In base alle analisi di sottogruppo, l’effetto preventivo dell’interferone è stato osservato nella popolazione asiatica (differenza rischio -8.5%; IC 95%: da -13.6 a -3.6; p = 0.0012), nella popolazione con percentuale di carcinoma epatico superiore o uguale al 10%, se non trattata con interferone (differenza rischio -9.4%; IC 95%: da -14.2 a -4.6; p = 0.0001), e sulla popolazione con una proporzione di pazienti positivi a HBeAg superiore o uguale al 70% rispetto alla popolazione dello studio (differenza rischio -6.0%; IC 95%: da -11.8 a -0.2; p = 0.043). Lo stesso effetto di prevenzione dell’interferone non è stato osservato nella popolazione europea, in quella con bassa percentuale di incidenza del carcinoma epatico, se non trattata con interferone, e nella popolazione con bassa proporzione di pazienti positivi a HBeAg, rispetto alla popolazione dello studio. Anche la valutazione con metodo di Begg non ha evidenziato bias.