Nell’editoriale, pubblicato sulla rivista The Lancet Oncology (
leggi estratto), i professori Jacek Jassem e Rafał Dziadziuszko della Medical University di Gdańsk in Polonia commentano lo studio TAILOR (presentato in questo stesso numero di AiomNews) dicendo che il messaggio trasmesso è chiaro e potrebbe cambiare la pratica clinica del trattamento del tumore del polmone in seconda linea. Ricordano inoltre che erlotinib e gefitinib, inibitori del recettore tirosin-chinasico EGFR, sono stati i primi agenti a target molecolare utilizzati nel trattamento del tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC) in stadio avanzato. In uno studio di fase 3, BR.21, erlotinib ha dimostrato aumentare la sopravvivenza di circa due mesi nei pazienti già trattati con chemioterapia di prima e seconda linea portando alla diffusione dell’utilizzo di questa categoria di farmaci. È importante sottolineare che i pazienti all’interno dello studio BR.21 non erano candidabili alla chemioterapia di seconda linea. Nel 2005, tre gruppi riportavano che la presenza delle mutazioni di
EGFR rendeva i tumori particolarmente sensibili agli inibitori delle tirosin-chinasi di EGFR e difatti almeno nove studi sono stati pubblicati confermando che questo tipo di terapia era superiore almeno in termini di sopravvivenza libera da progressione alla chemioterapia, già dalla prima linea. Quando lo studio BR.21 è stato avviato, il ruolo delle mutazioni di
EGFR nel NSCLC non era ancora così chiaro, quindi la popolazione non era stata purtroppo selezionata. Negli anni successivi, numerose analisi per sottogruppo e retrospettive si sono avvicendate rendendo non chiaro e controverso, se esistente, il ruolo di questi farmaci anche nei pazienti con
EGFR ‘wild-type’. L’esiguità dei campioni e la mancanza di studi
ad hoc ha per anni reso irrisolto il quesito. Per questo motivo, lo studio TAILOR, condotto dalla dottoressa Marina Garassino e colleghi, è importante. Dopo aver riassunto i risultati di superiorità della chemioterapia di seconda linea con docetaxel, rispetto a erlotinib, gli autori dell’editoriale elogiano gli sforzi degli sperimentatori: lo studio è indipendente (fondi AIFA), ben disegnato e interpretato correttamente. La popolazione dello studio TAILOR è varia, include un’ampia percentuale di adenocarcinomi (69%) e molti partecipanti erano non fumatori (22%), due caratteristiche associate a una maggiore possibilità di mutazione
EGFR. I dati, tuttavia, indicano che non è possibile dedurre lo stato di
EGFR selezionando i pazienti attraverso le caratteristiche cliniche e patologiche, anzi al contrario si deve incoraggiare la genotipizzazione compiendo tutti gli sforzi necessari per l’ottenimento di un campione di tessuto o di plasma (cellule tumorali o DNA libero) dai pazienti. Lo studio TAILOR è stato avviato nel 2007, quando ancora lo stato
EGFR non era determinato di routine, mentre ora la maggior parte dei candidati al trattamento con inibitori di EGFR è sottoposto a questo esame: di conseguenza è cambiato l’approccio sull’uso di erlotinib e gefitinib nei pazienti con mutazioni di
EGFR. In questa prospettiva, i risultati dello studio TAILOR sono ancora più importanti. Non significano infatti che la chemioterapia rimanga l’unica opzione per i pazienti con tumore
EGFR ‘wild-type’, ma che dovranno essere ricercate altre mutazioni, spesso mutualmente esclusive con altre anormalità genetiche, come riarrangiamento dei geni
ALK,
ROS1,
RET e
NTRK1, mutazioni di
HER2 e
BRAF, amplificazione di
MET, per identificare i pazienti candidati a terapie alternative. Anche se questi vantaggi probabilmente ridurranno la proporzione di pazienti trattati con la chemioterapia, questa rimarrà la principale opzione per il NSCLC avanzato e lo studio TAILOR contribuirà quindi ad un uso più razionale della chemioterapia e degli inibitori di EGFR nel trattamento di questo tumore, basandolo sul profilo molecolare.