martedì, 22 ottobre 2024
Medinews
28 Gennaio 2014

DETERMINANDO IL SIGNIFICATO DI MGUS

Nel commento, pubblicato sulla rivista Blood (leggi testo), allo studio sulla progressione della gammopatia monoclonale di significato indeterminato (MGUS) a neoplasia maligna di tipo linfoide o mieloide, il professor Giampaolo Merlini della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo e Università di Pavia ha esaminato la rilevanza della valutazione di immunoparesi (riduzione dei livelli di immunoglobuline isotipo 1 o 2 non coinvolte) in concomitanza a fattori già individuati dal gruppo statunitense della Mayo Clinic (isotipo non-IgG, proteina M sierica ≥ 15 g/L e quoziente FLC anormale) nella predizione del rischio di progressione a malattia linfoide o mieloide. MGUS è uno dei più comuni disordini ematologici pre-maligni osservati in più del 3% della popolazione di età ≥ 50 anni. Diagnosticata spesso incidentalmente è caratterizzata dalla presenza di proteina M, senza sintomi evidenti, e mostra un rischio annuale di progressione a mieloma multiplo o disordine plasmacellulare di circa l’1%. Nonostante importanti progressi in questo campo, non sono ancora disponibili marcatori biologici affidabili per predire quali pazienti mostreranno progressione. Due modelli sono stati presentati in passato: quello della Mayo Clinic, basato sui tre fattori di rischio citati e incorporato nelle linee guida dell’International Myeloma Working Group, e l’altro, spagnolo, che prevede l’identificazione della popolazione plasmacellulare al citofluorimetro, più complesso e meno applicato. Nel commento del prof. Merlini, lo studio del gruppo dello Skåne University Hospital di Malmö (presentato in questo stesso numero), che ha incluso dati retrospettivi di un’ampia popolazione svedese, anche se limitato nel disegno, ha offerto importanti risultati che confermano l’importanza dei tre fattori di rischio della Mayo Clinic aggiungendone un altro, l’immunoparesi, che aumenta il potere discriminatorio del modello clinico. Il goal è identificare la malattia in stadio iniziale quando è più sensibile agli interventi terapeutici ed è possibile prevenire il danno d’organo e quindi prolungare la sopravvivenza dei pazienti. Anche l’identificazione dei pazienti con MGUS benigna, a basso rischio di progressione (pari al 2% nei successivi 20 anni), è importante: evita l’esame iniziale del midollo osseo, la radiografia ossea e il follow-up annuale, specie negli anziani che potrebbero essere quindi seguiti dal medico di famiglia. La popolazione a basso rischio di progressione costituisce il 40% dei pazienti con MGUS, in gran parte anziani, e anche se lo screening non è ancora raccomandato, se lo fosse ci si potrebbe focalizzare sul monitoraggio di quel 60% circa di pazienti a più alto rischio di progressione, attraverso la ricerca mirata della proteina M. I biomarcatori identificati/confermati, in definitiva, aiuterebbero i clinici a stratificare i pazienti con MGUS, ottimizzandone la gestione.
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