lunedì, 5 giugno 2023
Medinews
4 Novembre 2008

COMITATO BIOETICA, POSSIBILE RINUNCIA A CURE SOLO IN PIENA COSCIENZA

“Il rifiuto consapevole del paziente al trattamento medico non iniziato, così come la rinuncia ad un trattamento già avviato, non possono mai essere acriticamente acquisiti, o passivamente ‘registrati’, da parte del medico”. E’ questa una delle conclusioni contenute nel documento del Comitato nazionale per la bioetica (Cnb) ‘Rifiuto e rinuncia consapevole al trattamento sanitario nella relazione paziente-medico’, votato dall’organismo della Presidenza del Consiglio. Un testo coordinato dal preside della Facoltà di giurisprudenza dell’università di Bologna, Stefano Canestrari. La riflessione degli esperti di bioetica fa implicito riferimento alla vicenda di Eluana Englaro. La volontà della donna di interrompere le cure, riferita dai suoi familiari, è infatti stata ricostruita attraverso le sue dichiarazioni precedenti. E in base a queste è intervenuta una sentenza della Corte di Cassazione che ha stabilito la possibilità di interrompere l’idratazione e l’alimentazione artificiale che la tengono ancora in vita. “Considerata la gravità, e spesso l’irreversibilità, delle conseguenze di una rinuncia alle cure, è necessaria un’attenta analisi circa l’effettiva competenza del paziente e circa la presenza, caso per caso e in concreto, di tutti quei requisiti e quegli indicatori che consentano di considerare la sua manifestazione di volontà come certa, consapevole e attendibile”. Il medico, riflette ancora il Cnb, “è destinatario di un fondamentale dovere di garanzia nei confronti del paziente, e deve sempre agire previo consenso di quest’ultimo rispetto al trattamento attivato. Fra i doveri etici, giuridici e professionali del medico rientra anche la necessità che la formale acquisizione del consenso non si risolva in uno sbrigativo adempimento burocratico, ma sia preceduta da un’adeguata fase di comunicazione e interazione fra il soggetto in grado di fornire le informazioni necessarie (il medico) e il soggetto chiamato a compiere la scelta (il paziente)”. “Da ciò – prosegue il Cnb – deriva che il medico deve sempre elaborare, a livello sia epistemologico che bioetico, una duplice consapevolezza: da una parte, quella per cui ogni forma di accanimento clinico si configura come illecita; dall’altra, quella per cui l’affermata ‘parità’ fra medico e paziente può peccare di un eccesso di astrazione, ponendo in ombra le difficoltà, le incertezze, le fragilità di chi vive in prima persona l’esperienza della malattia”, precisa. “Ciò – rileva – non significa tornare a una posizione che enfatizza l’asimmetria di potere/sapere fra medico e paziente e relega nell’insignificanza la parola del paziente: al contrario, il dovere del medico di non assumere atteggiamenti paternalistici o lato sensu autoritari nei confronti dell’assistito – spiega il documento – va coniugato con una particolare attenzione per le esigenze del caring, affinché il rifiuto o la rinuncia del paziente a cure necessarie alla sua sopravvivenza rimanga un’ipotesi estrema”.
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