La genotipizzazione del tessuto tumorale per evidenziare alterazioni genetiche somatiche e raccogliere informazioni utili per la pratica medica è ormai divenuta di routine nell’oncologia clinica. Sebbene le alterazioni della sequenza forniscano informazioni importanti, il campionamento del tessuto tumorale ha molte e importanti limitazioni: il tessuto raccolto rappresenta una fotografia temporale ed è soggetto a bias di selezione del campione che derivano dall’eterogeneità del tumore e, d’altra parte, la procedura è invasiva e non assicura una visione globale della situazione. I professori Luis A. Diaz Jr della Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora e Alberto Bardelli dell’Istituto per la Ricerca e la Cura del Cancro, Università di Torino a Candiolo e Fondazione Italiana per la Ricerca sul Cancro di Milano, ricordano che i frammenti di DNA sono rilasciati nel componente ematico libero da cellule (‘cell-free’ DNA, cfDNA). Il cfDNA circolante che deriva da cellule tumorali apoptotiche o in necrosi (‘circulating tumor’ DNA, ctDNA) correla con lo stadio del tumore e con la prognosi. Nella revisione pubblicata sulla rivista Journal of Clinical Oncology (
leggi abstract), sono inoltre descritti i recenti avanzamenti di sensibilità e accuratezza dell’analisi del DNA che hanno permesso la genotipizzazione del cfDNA per evidenziare le alterazioni genomiche somatiche che si manifestano nei tumori. Sebbene il tessuto tumorale sia al momento il ‘gold standard’ per esaminare la sequenza del DNA, sia a livello clinico che sperimentale, esistono ancora barriere in termine di acquisizione del campione e utilità. Inoltre, prelievo, conservazione ed eterogeneità del tessuto tumorale limitano il suo uso e aumentano i costi delle cure; la procedura è invasiva e spesso non influenza l’esito del paziente pur non essendo priva da complicanze cliniche. L’eterogeneità è la principale limitazione, perché si presenta non solo nel tessuto tumorale ma anche nelle metastasi di uno stesso paziente. D’altra parte, la biopsia liquida offre le stesse informazioni genetiche di quella tessutale, è sorgente di DNA fresco e non è limitata dall’utilizzo di conservanti. Sebbene i dati di ctDNA attuali siano ancora sperimentali, la sensibilità delle biopsie liquide nei pazienti in stadio IV sembra avvicinarsi al 100%. La capacità di rilevare le mutazioni tumorali e quantificare il fenomeno sembra sufficientemente valida da tracciare le dinamiche del tumore in tempo reale. Una potenziale applicazione della biopsia liquida, attraverso il ctDNA, è la diagnosi della malattia residua minima dopo la resezione per determinare quali pazienti potranno sviluppare recidiva e quindi essere sottoposti a terapia adiuvante, non indiscriminatamente ma risparmiando a un certo numero di pazienti tossicità inutili. Altra applicazione della biopsia liquida è il monitoraggio della presenza di cloni di resistenza multipla ai farmaci (ad es. alla terapia target anti-EGFR): l’analisi del ctDNA nei campioni di plasma ottenuti prima e dopo il trattamento può dare una visione globale della genetica del tumore. In sintesi, tutte le determinazioni che si possono fare sul campione tessutale, ora possono essere eseguite sulla biopsia liquida, compresa la misura del ctDNA metilato. Quest’ultima ha elevata sensibilità, tale da poter essere indicata quale potenziale screening precoce di neoplasie maligne. In conclusione, l’analisi del DNA circolante è una promettente area di ricerca che permette di evidenziare alterazioni molecolari tumore-specifiche nella circolazione sanguigna. La tecnica presenta un elevato grado di specificità e di sensibilità, anche se ulteriori studi sono necessari per renderla applicabile, in particolare nello screening del ctDNA come strumento per rilevare precocemente il tumore.