L’inibizione continua di VEGF, prolungando la terapia con bevacizumab, sembra una valida opzione di trattamento per le pazienti con tumore mammario HER2-negativo in recidiva locale o metastatico, stabilizzate o in risposta a bevacizumab e chemioterapia in prima linea. La combinazione di bevacizumab con la chemioterapia di prima o seconda linea migliora la sopravvivenza libera da progressione nel tumore mammario HER2-negativo in recidiva locale o metastatico. Ricercatori europei (in Italia, i gruppi dell’Ospedale Universitario di Udine e dell’Istituto Nazionale dei Tumori, Fondazione G. Pascale di Napoli) hanno valutato l’efficacia e la sicurezza di un’ulteriore terapia con bevacizumab nelle pazienti che avevano mostrato progressione dopo un primo trattamento con bevacizumab associato alla chemioterapia. In questo studio di fase III, randomizzato, in aperto, pubblicato sulla rivista The Lancet Oncology (
leggi abstract), gli autori hanno arruolato pazienti con tumore mammario HER2-negativo in recidiva locale o metastatico che avevano mostrato progressione dopo trattamento con bevacizumab e chemioterapia in prima linea per 12 o più settimane, in 118 centri di 12 Paesi. Le pazienti sono state randomizzate (1:1), con sistema centralizzato interattivo a risposta vocale utilizzando una schedula di randomizzazione a blocchi (di quattro pazienti), stratificata secondo lo stato dei recettori ormonali, la sopravvivenza libera da progressione in prima linea, il tipo di chemioterapia e i livelli di lattico deidrogenasi, a mono-chemioterapia di seconda linea sola o in associazione a bevacizumab (15 mg/kg ogni 3 settimane o 10 mg/kg ogni 2 settimane). La terapia di seconda linea è stata somministrata fino a progressione della malattia, tossicità inaccettabile o ritiro del consenso. Alla progressione, le pazienti randomizzate a sola chemioterapia hanno ricevuto chemioterapia di terza linea senza bevacizumab e quelle randomizzate a bevacizumab hanno continuato con il farmaco in associazione alla chemioterapia di terza linea. Endpoint primario era la sopravvivenza libera da progressione dalla randomizzazione alla progressione durante il trattamento di seconda linea o alla morte nella popolazione ‘intention-to-treat’. Lo studio è attualmente in corso. In totale, tra il 17 febbraio 2011 e il 3 aprile 2013, sono state randomizzate 494 pazienti (247 in ciascun gruppo). La durata mediana del follow-up al momento di questa analisi primaria, pre-specificata, della sopravvivenza libera da progressione, era 15.9 mesi (IQR: 9.1 – 21.7) nel gruppo randomizzato a sola chemioterapia e 16.1 mesi (IQR: 10.6 – 22.7) in quello di combinazione. La sopravvivenza libera da progressione era significativamente più lunga nelle pazienti trattate con bevacizumab e chemioterapia rispetto a quelle randomizzate a sola chemioterapia (mediana, rispettivamente: 6.3 mesi, IC 9%%: 5.4 – 7.2, vs 4.2 mesi, IC 9%%: 3.9 – 4.7; hazard ratio [HR] stratificato 0.75, IC 95%: 0.61 – 0.93;
log-rank stratificato a due code p = 0.0068). Gli eventi avversi più comuni di grado 3 o superiore erano ipertensione (33 su 245 pazienti [13%], che avevano ricevuto bevacizumab e chemioterapia, vs 17 su 238 pazienti [7%], con sola chemioterapia), neutropenia (rispettivamente 29 [12%] vs 20 [8%]) e sindrome mano-piede (rispettivamente 27 [11%] vs 25 [11%]). Proteinuria di grado 3 si è manifestata in 17 su 245 pazienti (7%) che hanno ricevuto la combinazione e in una su 238 (< 1%) donne trattate con sola chemioterapia; eventi avversi gravi sono stati riportati rispettivamente in 61 su 245 pazienti (25%) vs 44 su 238 pazienti (18%). In conclusione, i risultati di questo studio suggeriscono che l’inibizione continua di VEGF con un’ulteriore terapia con bevacizumab rappresenta una valida opzione di trattamento per le pazienti con tumore mammario HER2-negativo in recidiva locale o metastatico, stabilizzate o in risposta a bevacizumab e chemioterapia in prima linea.
“Lo studio TANIA ha analizzato il ruolo del bevacizumab quale trattamento di seconda linea in pazienti con carcinoma mammario HER2 negativo in stadio avanzato, in progressione dopo 12 o più settimane di trattamento di prima linea con bevacizumab e chemioterapia.
Condotto tra febbraio 2011 e aprile 2013, in 12 Paesi, ha visto la partecipazione di 494 donne (247 per braccio di trattamento). Attraverso un disegno randomizzato, di fase III, ‘open label’, è stato possibile evidenziare una superiorità della combinazione bevacizumab/chemioterapia rispetto alla monochemioterapia in termini di
progression-free survival (mediana: 6.3 vs 4.2 mesi; hazard ratio 0.75, 95% IC 0.61 – 0.93, p = 0.0068). È stato così soddisfatto l’
endpoint primario. Per il 2015 sono attesi i risultati riguardo alla
progression-free survival dopo la terza linea di trattamento e all’
overall survival (
endpoint secondari).
Come atteso, gli eventi avversi di grado maggiore o uguale a 3 sono risultati l’ipertensione (13% nel braccio bevacizumab/chemioterapia vs 7% nel braccio con la sola chemioterapia), la neutropenia (12% vs 8%) e l’hand-foot syndrome’ (11% vs 11%). Una proteinuria di grado 3 si è verificata nel 7% delle pazienti trattate con bevacizumab e in meno dell’1% di coloro che avevano ricevuto soltanto la chemioterapia.
Dopo la progressione alla seconda linea, le pazienti assegnate al braccio senza bevacizumab proseguivano con una monochemioterapia anche in terza linea e le pazienti assegnate al braccio con bevacizumab ricevevano l’associazione di un agente chemioterapico e bevacizumab.
In analogia con quanto osservato nella patologia colorettale – ha commentato Fabio Puglisi, professore di Oncologia Medica all’Università di Udine e Tesoriere AIOM, – la strategia di continuare l’inibizione del VEGF dopo la progressione ad una prima linea terapeutica con chemioterapia e bevacizumab appare promettente anche nel trattamento del carcinoma mammario avanzato HER2 negativo”. Puglisi, che fa parte dello ‘steering committee’ dello studio, ha aggiunto: “Lo studio TANIA ha un disegno pragmatico, avendo consentito la scelta della chemioterapia a discrezione dello sperimentatore. Tale approccio può essere letto in chiave positiva, essendo uno specchio più fedele della pratica clinica. Tuttavia, l’eterogeneità dei trattamenti e l’assenza del placebo costituiscono un limite nell’interpretazione rigorosa dei risultati.
Punto di forza dello studio è rappresentato dal controllo delle linee terapeutiche. Le pazienti assegnate al trattamento di seconda linea con bevacizumab/chemioterapia hanno continuato il bevacizumab anche in terza linea, modificando il partner chemioterapico. A coloro che avevano ricevuto la monochemioterapia era inibito il ‘crossover’. Tali vincoli metodologici consentiranno di acquisire informazioni solide riguardo alla
progression-free survival dopo la terza linea e all’
overall survival. Bisogna pertanto attendere la maturazione del follow-up per chiarire la valenza dello studio: “
practice-changing“, “
proof-of-concept” o entrambi i significati?”.