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3 Novembre 2008

EPATITE B CRONICA, FUNZIONA IL TRATTAMENTO A LUNGO TERMINE “ENTECAVIR PUÒ RIDURRE I DANNI A CARICO DEL FEGATO”

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A San Francisco il 59° Congresso dell’American Association for the Study of the Liver Diseases con la partecipazione di oltre 6.000 esperti

San Francisco, 3 novembre 2008 – È efficace, non sviluppa resistenza virale e ora ha dimostrato, dopo sei anni di somministrazione, di essere in grado di ridurre i danni a carico del fegato nel 96% dei pazienti. Entecavir, molecola di nuova generazione e antivirale orale ad alta barriera genetica per il trattamento dell’epatite B cronica (disponibile in Italia da oltre un anno), è protagonista al 59° congresso dell’American Association for the Study of Liver Diseases (AASLD), in corso a San Francisco, che riunisce oltre 6000 esperti da tutto il pianeta. In questo meeting oggi vengono presentati nuovi risultati dallo studio ETV-901 (che ha coinvolto 4 centri italiani), in cui il trattamento a lungo termine con entecavir è stato associato alla riduzione dell’infiammazione epatica e della fibrosi; nel 100% di questi pazienti la carica virale era a livelli non rilevabili. “Questi nuovi dati – afferma il prof. Pietro Lampertico dell’Università degli Studi di Milano – confermano che un trattamento a lungo termine con un antiretrovirale potente e che non causa insorgenza di resistenze è potenzialmente in grado di arrestare il danno epatico e può perfino migliorare la fibrosi epatica”. Un reale vantaggio per il paziente che vede allontanarsi sempre di più le gravi complicanze al fegato: per la prima volta sono disponibili dati così favorevoli e per un periodo così lungo di osservazione in pazienti con epatite B cronica. Ciò è dovuto al fatto che entecavir unisce la potenza all’alta barriera genetica e il virus deve sviluppare almeno tre mutazioni per sfuggire all’effetto del farmaco. Purtroppo la percezione della gravità della malattia è ancora scarsa e preoccupa la mancanza di ricorso a cure appropriate. Sono sufficienti pochi dati per cogliere le dimensioni del problema: nel mondo vi sono circa 400 milioni di portatori cronici del virus, e si stima circa 700 mila in Italia, dove ogni giorno 57 persone muoiono per cirrosi o tumore del fegato. Nel nostro Paese oggi solo ventimila persone sono in terapia, ma molte di più potrebbero trarre beneficio da trattamenti efficaci per arrestare l’evoluzione della malattia. Se non trattata, infatti l’epatite B cronica evolve in cirrosi nel 10-20% dei casi ed in quasi la metà di questi si verifica il decesso per insufficienza epatica o epatocarcinoma.

Nello studio ETV 901, il trattamento a lungo termine (per sei anni) con entecavir è stato associato al miglioramento dell’istologia epatica, compresa la fibrosi, in pazienti affetti da epatite B cronica. Nell’ambito di questo studio sono stati valutati i risultati istologici a lungo termine in 57 persone non trattate in precedenza con un antivirale orale provenienti da due studi di fase III. Nel 96% di 57 pazienti (55 su 57) sono stati evidenziati miglioramenti nell’istologia epatica. Inoltre, nell’88% dei pazienti (50 su 57) si è manifestata la riduzione della fibrosi epatica (la formazione di tessuto cicatriziale nel fegato come reazione a un’infiammazione cronica che può essere causata dall’infezione da epatite B cronica). Il controllo della replicazione virale è un marker fondamentale nel trattamento dell’epatite B cronica: dalle biopsie epatiche di controllo è emerso che il 100% dei pazienti (57 su 57) aveva una carica virale non rilevabile.
Nel corso dell’AASLD sono stati presentati anche i risultati istologici dello studio ETV-060 condotto su pazienti giapponesi: nelle persone in cui è stata effettuata la biopsia di controllo a lungo termine, la carica virale era a livelli non rilevabili nel 95% dei pazienti naive (35 su 37) e nel 56% dei pazienti refrattari alla lamivudina (15 su 27).

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