Lo studio su 573 pazienti pubblicato ieri sul New England Journal of Medicine
Padova, 11 marzo 2005 – In cinque anni si è passati da una morte quasi certa entro un anno ad una sopravvivenza più che dignitosa. Dopo trent’anni di buio assoluto, la ricerca traslazionale ha forse trovato la chiave d’accesso alla comprensione dei tumori cerebrali ed ha messo a punto alcune importanti strategie di cura, che hanno già dato risultati eccezionali. L’ultima è stata pubblicata ieri sul New England Journal of Medicine ed ha visto l’apporto della Neuroncologia di Padova, diretta dalla dott. Alba Brandes. Lo studio, condotto dall’Organizzazione Europea per la Ricerca e la Cura del Cancro (EORTC) e dal National Cancer Institute del Canada (NCIC) ha coinvolto 573 pazienti, provenienti da 85 centri di 14 paesi europei e canadesi, affetti da glioblastoma multiforme, una tra le neoplasie cerebrali più frequenti ed aggressive con una sopravvivenza media di un anno dalla diagnosi. I ricercatori hanno dimostrato che, dopo l’intervento chirurgico, la somministrazione della chemioterapia a base di temozolomide, in aggiunta alla radioterapia, raddoppia il numero di persone vive a 24 mesi di distanza dall’operazione. “In particolare – spiega la dott. Brandes, coautrice dello studio – abbiamo visto che la sopravvivenza mediana dei pazienti trattati con la combinazione radio-temozolomide era di 14,6 mesi contro i 12.1 mesi di chi era stato curato con la sola radioterapia. Dopo 2 anni questa condizione favorevole è aumentata a 26.5% nel primo gruppo contro il 10.4% del secondo. Vantaggio che si è poi mantenuto a distanza, appunto, di quasi tre anni dalla resezione del tumore, con una riduzione del rischio di morte del 37%. In base a queste evidenze e al basso profilo di tossicità – aggiunge Brandes – il trattamento chemio-radio è perciò diventato lo standard per i pazienti con glioblastoma”. Ora la sfida della neuro-oncologia – sostengono gli oltre 400 esperti riuniti oggi e domani al Policlinico di Padova per la “3° International Conference on Future Trends in the Treatment of Brain Tumors”, la più importante assise mondiale – è di migliorare ulteriormente i risultati clinici contro i gliomi maligni partendo proprio da questa nuova piattaforma.
Il glioblastoma è una patologia altamente aggressiva: rappresenta il 12-15% di tutti i tumori del cervello e il 50-60% dei tumori astrocitari, con un’incidenza nel mondo di 175 mila casi e 125 mila decessi. “Come si vede – prosegue la dott. Brandes – si tratta di numeri statisticamente importanti ma che nel caso specifico acquistano anche un’enorme rilevanza sociale: il glioblastoma può colpire persone giovani, che più risentono della perdita di produttività, autosufficienza e ruolo nella famiglia e nella società”. Per rispondere a questa richiesta d’aiuto i ricercatori stanno esplorando diverse strade. “Nonostante i notevoli progressi ottenuti – sostiene la responsabile dell’Unità di Neuroncologia di Padova – siamo consapevoli che oggi la chemioterapia non può guarire definitivamente il glioblastoma e pertanto stiamo verificando altre modalità terapeutiche, come per esempio il blocco dell’angiogenesi per ‘affamare’ il tumore facendogli terra bruciata intorno. Nel cervello normale la neo angiogenesi è depressa. Quando si sviluppa la malattia si assiste invece ad una secrezione da parte del tumore di alcune sostanze, chiamate VEGF, che stimolano la crescita di nuovi vasi, fondamentali per garantire il nutrimento al cancro. Senza sangue il tumore infatti muore di fame”.
A breve, probabilmente già entro questa primavera, non appena il Comitato Etico dell’ospedale darà il via libera, la Neuroncologia di Padova coordinerà una sperimentazione clinica che prevede l’utilizzo, in aggiunta alla terapia standard radio-chemioterapia, di un inibitore dell’angiogenesi, il PTK/ZK, in grado di bloccare il VEGF e, di conseguenza, la proliferazione vascolare. “Questa prima fase – anticipa la dott. Brandes – vedrà l’arruolamento di pochi pazienti in solo 4 Centri (Padova, Rotterdam, Losanna, Regensburg). Dopodiché partirà lo studio randomizzato su circa 200 malati che riceveranno: il trattamento standard, o lo standard più PTK indefinitivamente, oppure lo standard con il PTK somministrato precocemente e poi continuato per sempre. L’obiettivo del trial è di aumentare dal 60 al 75% la percentuale di pazienti che a sei mesi non presentano progressione della malattia.”.
La decodificazione del genoma umano e i progressi tecnologici e bioinformatici hanno aperto prospettive entusiasmanti nella comprensione nello stato di attivazione di ogni gene e quindi della genesi dei tumori cerebrali. “Le evidenze scientifiche – prosegue la dott. Brandes – ci dicono che nel giro di pochi mesi per i principali tumori cerebrali si potrebbe arrivare alla definizione certa del rischio individuale e all’indicazione di una terapia personalizzata. Il glioblastoma, per esempio, può sviluppare resistenza alla temozolomide. Recenti studi hanno dimostrato che a giocare un ruolo chiave nel meccanismo di resistenza è l’enzima O-6-metilguanina-DNA metil-transferasi (MGMT). Questo enzima ripara infatti il danno indotto dai farmaci e protegge la cellula tumorale. Viceversa si è visto che quando MGMT è inattivata (metilata), la chemioterapia ha un’azione determinante nella sopravvivenza dei pazienti: lo studio pubblicato ieri sul New England Journal of Medicine riporta che i pazienti con glioblastoma che presentano la metilazione ottengono una sopravvivenza mediana di 21.7 mesi se trattati con radioterapia e temozolomide contro 15.3 mesi se ricevono solo radioterapia. I pazienti senza metilazione del gene trattati con radioterapia e temozolomide hanno una sopravvivenza mediana di 12.7 mesi contro 11.8 mesi se ricevono solo radioterapia. Grazie ad un test genetico, eseguito di routinea Padova, è possibile testare direttamente sulla neoplasia la metilazione o meno di MGMT, permettendo dunque di conoscere prima quale sarà la risposta nei singoli pazienti e di modificare di conseguenza il trattamento. Non solo, a Padova – conclude Brandes – abbiamo messo a punto un innovativo protocollo di terapia che prevede la somministrazione frazionata e protratta di temozolomide con l’obiettivo di inibire direttamente l’enzima riparatore MGMT. Attualmente stiamo verificando se esiste una correlazione fra lunga sopravvivenza ed espressione di MGMT inattivato nei campioni tumorali di pazienti con glioblastoma. Su questa base stiamo conducendo uno studio di correlazione e verifica di questo fattore anche in altre istologie”.