venerdì, 4 ottobre 2024
Medinews
7 Giugno 2001

SINTESI DELL’INTERVENTO DEL PROF. MAURO MORONI

Quando è stata introdotta la terapia antiretrovirale c’erano timori sia sulla sua tenuta sia sulla durata dell’efficacia. Timori che non sono assolutamente scomparsi, ma l’esperienza accumulata in questi anni e i risultati ottenuti in termini anche di qualità della vita dei malati ci fa ben sperare. Molte persone sieropositive hanno ripreso a progettare la propria esistenza: riprendono a studiare, si laureano, investono nel proprio lavoro. Soprattutto guardano alla sfera dell’affettività e della sessualità con occhio più fiducioso. Ed è in questo contesto che si pone il problema della procreazione.
Noi medici siamo sempre stati molto prudenti, fino a un certo punto anche assolutamente negativi sulla possibilità che le persone sieropositive potessero mettere al mondo dei figli. Per due motivi fondamentali. Prima di tutto perché il rischio di dare alla luce un bambino con l’infezione era altissimo: inizialmente era di un bambino su 4. E poi perché era anche elevata la probabilità che questo bambino potesse restare orfano molto presto di uno o di entrambi i genitori. Significava cioè mettere al mondo una creatura sapendo già dall’inizio che con buona probabilità non avrebbe potuto godere della presenza della mamma e del papà. Fortunatamente i progressi scientifici degli ultimi anni hanno fatto perdere forza a questi assunti e oggi anche l’atteggiamento della classe medica è più aperto.
Attenzione però: nel momento in cui cade anche questo tabù e anche la procreazione rientra tra gli eventi possibili per una persona sieropositiva, questo non deve però essere letto come un semaforo verde incondizionato. Le coppie che intendono porsi il problema della procreazione è bene che non ‘cerchino’ il bambino indipendentemente da ogni controllo e da ogni assistenza.
I centri specialistici devono giocare un ruolo di programmazione della gravidanza al fine di ridurre al massimo il rischio: la situazione è infatti molto diversificata a seconda che ad essere sieropositivo sia il partner maschile, il partner femminile o entrambi, che la persona sieropositiva assuma farmaci o meno, o dello stadio dell’infezione: tutta una serie di variabili che giocano un peso determinante sull’esito finale dell’operazione. E solo centri esperti ed attrezzati sono in grado di poter gestire l’evento con la massima riduzione del rischio, sia per i futuri genitori che per il nascituro.
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