Presentato dalla Fondazione Smith Kline il Rapporto 2001 sulla continuità assistenziale
“Il cittadino colpito da una malattia di lunga durata – spiegano gli autori – ha il diritto di trovare nel sistema sanitario risposte articolate, adatte alle specifiche condizioni cliniche e alle particolari situazioni umane. L’evoluzione epidemiologica e le esigenze organizzative impongono perciò una revisione profonda degli attuali sistemi di assistenza, oggettivamente troppo inefficienti e costosi in termini umani ed economici”.Il Rapporto Sanità 2001 esplora i percorsi possibili della continuità assistenziale per garantire al malato un’impostazione adeguata dell’assistenza e quindi il massimo dei risultati conseguibili. In particolare quando il cittadino è caricato del peso di una malattia complessa e di lunga durata ed è povero sul piano economico, culturale e relazionale, la continuità diviene un obbligo imprescindibile per il servizio sanitario nazionale. Del resto va detto che per negare l’importanza di una organizzazione razionale e diffusa della continuità assistenziale non possono essere addotte motivazioni di carattere economico”. Secondo gli autori, infatti, “una quota capitaria di oltre 2.200.000 (2001) permette investimenti adeguati in quest’area purché le Regioni non siano gravate di impegni impropri o limitate rispetto alla possibilità di adeguati risparmi” E d’altra parte, “un sistema organizzato potrebbe anche permettere di incanalare verso un uso corretto la mole di denaro che molti cittadini spendono direttamente per la propria salute”. Per esempio attraverso i distretti. “E’ fondamentale in questo senso – sottolinea il Rapporto – la creazione di un ‘punto unificato’, di portali front-office che siano funzionali a veicolare qualunque domanda. Un front-office, come punto di accesso ha le funzioni di: interpretare la domanda sociosanitaria e di adeguarla alle risorse locali (pubbliche e non); creare rapporti interpersonali operatore/utente/strumentazione telematica; costruire connessioni tra bisogni e risorse; offrire un’attenzione “personalizzata” ai soggetti deboli, spesso svantaggiati dalla incapacità di accedere alle informazioni”.
Cosa accade invece? “Dall’analisi della relazione fra i diversi attori – evidenzia il Rapporto – emerge il dato preoccupante dell’incomunicabilità. Ci troviamo ancora di fronte alla separatezza e alla discontinuità dei processi assistenziali. Troppo spesso nell’erogazione delle prestazioni si procede per ‘automatismi’ tra domanda e prestazione. Invece il bisogno è personalizzato e spesso complesso e la corrispondenza tra bisogno e prestazione non è automatica”. Di più. Generalmente in tutta Europa le cure sono fornite in modo puntiforme e ripartite tra una pluralità di medici specialisti, infermieri ed altri professionisti della sanità invece di essere organizzate all’interno di una équipe multiprofessionale che eroga cure complete ed integrate orizzontalmente. In queste condizioni non si riesce a ridurre il numero di ospedalizzazioni inappropriate come si potrebbe. “Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità – si legge nel Rapporto – la sola soluzione ragionevole del problema attuale consiste nel realizzare un sistema di servizi sanitari meglio integrati nei quali le cure sanitarie primarie siano organizzate in modo da poter risolvere tutti i problemi che possono essere efficacemente trattati a questo livello”.
In un panorama che vede la crescita esponenziale delle malattie croniche il modo più corretto di governare il sistema non deve dunque essere indirizzato al controllo della prestazione o delle strutture erogatrici, ma alla gestione coordinata del percorso della singola malattia. “Da questa idea – sostengono gli autori – prende corpo il Disease Management, che è chiaramente orientato ad una stretta programmazione del trattamento della malattia. Intorno alle singole patologie sono stati sviluppati pacchetti di offerta di prestazioni che prevedono il coordinamento di percorsi clinici ed interventi terapeutici integrati con educazione sanitaria, prevenzione, applicazione di linee guida, assistenza alla persona, attuazione di programmi verificati in termini di costo-efficacia”.
Di fronte ad un programma di riorganizzazione del servizio assistenziale, basato sulla continuità assistenziale, per gli autori diventa inoltre una condizione indispensabile la corretta applicazione di tecnologie telecomunicative, di telemedicina e di e-sanità. Un esempio di investimento nel campo della comunicazione della sanità sono i moderni Call Center e Contact Center che operano nell’interazione tra struttura sanitaria e cittadino. Il nuovo scenario pone nuove sfide anche per la formazione del medico che deve essere in grado di gestire la complessità. “Per svolgere una funzione didattica così complessa – concludono gli autori – l’Università deve conservare nel tempo la capacità di una offerta formativa sempre originale; ciò impone una forte vicinanza con la ricerca, perché questa esercita un’influenza innovativa e stimola ad identificare metodi e contenuti sempre più adeguati rispetto alle richieste della società ed al bisogno individuale. L’esempio della continuità assistenziale è paradigmatico: nessun contenuto formativo può essere veramente incisivo se disgiunto dalla ricerca che porta a definire gli stessi contenuti formativi”.