Place of death is an essential component of high quality cancer care and comprehensive national trends and disparities in place of death are unknown. Deidentified death certificate data were obtained via the National Center for Health Statistics. All cancer deaths from 1999 through 2015 were included. Multivariate logistic regression was used to test for disparities in place of death associated with sociodemographic variables. From 1999 through 2015, a total of … (leggi tutto)
L’articolo pubblicato da Cancer descrive un aspetto molto importante del percorso dei pazienti oncologici, vale a dire il luogo di morte (ospedale, casa o hospice), analizzando i dati relativi agli Stati Uniti d’America, nel periodo compreso tra il 1999 ed il 2015.Prendendo in considerazione un numero elevato di decessi (oltre 9 milioni e 600 mila), gli autori hanno osservato, nel periodo di tempo considerato, una diminuzione della percentuale dei decessi avvenuti in ospedale (erano il 36,6%, all’inizio dell’osservazione, e si sono ridotti al 24,6%), con un incremento dei decessi avvenuti a casa (passati dal 38,4% al 42,6%) oppure in hospice (passati da 0% al 14,0%). Provando ad analizzare quali fattori possono influenzare la probabilità di morire in ospedale piuttosto che a casa o in hospice, gli autori hanno riscontrato che il rischio di morire in ospedale è significativamente più elevato nei pazienti giovani e nei pazienti di colore, oppure asiatici oppure ispanici, rispetto ai pazienti bianchi. I pazienti sposati o vedovi hanno maggiore possibilità di morire a casa, mentre i pazienti con maggiore istruzione hanno più chance di morire in hospice.
Commentando il risultato, gli autori sottolineano che il miglioramento osservato nella percentuale di soggetti deceduti in ospedale è sicuramente incoraggiante, ma che rimane tanto spazio per migliorare ulteriormente i risultati, specialmente per alcune fasce di pazienti come le persone di colore e i più giovani.
La lettura dell’articolo fa riflettere sull’importanza della tematica anche nella realtà italiana. A fine 2017, sulle pagine del Corriere della Sera, Luca Moroni, all’epoca presidente della Federazione italiana di Cure Palliative, sottolineava che la pratica delle cure palliative e dell’assistenza domiciliare è oggi molto più diffusa rispetto a 10 o 20 anni fa, ma che nel nostro Paese si muore ancora troppo in ospedale. Ovviamente, ricordava Moroni, “nei casi acuti è comprensibile, ma bisognerebbe aumentare la possibilità di vivere gli ultimi tempi della vita in un ambiente più consono. I passi avanti ci sono stati: oggi gli hospice in Italia sono circa 270, contro i 6 del 1999. Ma c’è ancora troppa poca possibilità di assistenza domiciliare”.