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Medinews
20 Aprile 2018

Leptomeningeal metastases in EGFR-mutated non-small cell lung carcinoma: Management after tyrosine kinase inhibitors

Leptomeningeal metastases (LM) in non-small cell lung carcinoma (NSCLC) are associated with poor outcome. Tyrosine kinase inhibitors (TKIs) are active in LM+ EGFR mutated (EGFRm) patients (pts), but optimal patient’s management after failure of TKIs is unknown. We included consecutive pts with EGFRm NSCLC who had LM progression during first-line EGFR TKI, defined as diagnosis of LM during TKI treatment or progression of known LM after first-line … (leggi tutto)

Vengono riportati i risultati di uno studio retrospettivo (Istituto Gustave Roussy e Lille University Hospital), presentati all’ELCC 2018 European Lung Cancer Congress, tenutosi a Ginevra l’11-14 aprile, che evidenzia il beneficio degli inibitori delle tirosin-chinasi (TKI), erlotinib o erlotinib ad alte dosi, nel trattamento di seconda linea nei pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) EGFR mutato che sviluppano metastasi leptomeningee (LM) durante o dopo il trattamento con un TKI.
Sono stati valutati i dati clinici e patologici di 66 pazienti con NSCLC EGRF mutato che hanno manifestato progressione delle LM durante il trattamento di prima linea con EGFR TKI nel periodo compreso fra aprile 2003 e settembre 2016.
La progressione delle LM è stata definita come una diagnosi insorta durante il trattamento con TKI o progressione di LM note dopo TKI di prima linea. I pazienti avevano ricevuto una mediana di 2 precedenti linee di trattamento (range 1-7) e 19 pazienti (29%) anche un trattamento intratecale. TKI di seconda linea sono stati somministrati a 36 pazienti dopo progressione delle LM (di questi, 19 avevano effettuato trattamento con erlotinib, 10 erlotinib ad alte dosi a 300 mg al giorno, 3 pazienti osimertinib e 4 EGFR TKI di prima o seconda generazione).
Gli obiettivi dello studio includevano sopravvivenza globale (OS), sopravvivenza libera da progressione (PFS), tasso di risposta clinica (CRR) e tasso di controllo della malattia (DCR), dopo trattamento di seconda linea. Il DCR è stato definito come risposta clinica o malattia stabile della durata > 2 mesi.
Lo studio ha dimostrato che nei pazienti trattati con un TKI di seconda linea, la mediana di PFS dal momento della progressione delle LM era di 3 mesi e l’OS mediano era di 7 mesi. Il CRR era del 43% e il DCR era del 77%.
L’OS mediano è risultato rispettivamente di 8 mesi in pazienti trattati con erlotinib in seconda linea, 2 mesi con erlotinib ad alte dosi e 2 mesi in quelli trattati con altri TKI di prima o seconda generazione. I pazienti trattati con erlotinib in seconda linea sono stati per lo più pretrattati con afatinib o gefitinib (79%) riportando una OS migliore rispetto ai pazienti trattati con altri TKI di prima o di seconda generazione dopo la progressione delle LM.
Dei 9 pazienti vivi a 10 mesi, 6 avevano ricevuto erlotinib, 1 era stato trattato con erlotinib ad alte dosi e 2 hanno ricevuto osimertinib. L’80% dei pazienti trattati con erlotinib ad alte dosi aveva ricevuto erlotinib come terapia di prima linea, riportando un CRR del 40% e un DCR pari al 60%.
Gli autori concludono che il trattamento di seconda linea con un TKI può aumentare la sopravvivenza in pazienti con LM e NSCLC con EGFR mutato, precedentemente trattati con un TKI. Erlotinib somministrato dopo gefitinib o afatinib viene pertanto indicato come strategia terapeutica adeguata e il beneficio clinico in questa popolazione viene suggerito anche nei casi in cui la dose di erlotinib nella seconda linea sia stata incrementata. Le localizzazioni LM ed il loro trattamento restano un unmet need per i pazienti affetti da NSCLC in stadio avanzato e sono caratterizzate da una prognosi decisamente infausta, con quadro clinico fortemente invalidante. Il potenziale impiego di osimertinib come trattamento di prima linea nei pazienti affetti da NSCLC in stadio avanzato e con mutazione attivante di EGFR pone l’immediato problema della sequenza terapeutica, ancor più qualora la progressione sia a livello leptomeningeo. Questo lavoro, pur con importanti limiti numerici, può generare ipotesi di maggiore investigazione in questo specifico setting e con gli accorgimenti terapeutici suggeriti.
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