È stato identificato un gruppo di pazienti ad elevato rischio, per i quali il monitoraggio seriato della riattivazione del virus di Epstein-Barr e il trattamento precoce possono offrire benefici
Ricercatori statunitensi e francesi hanno valutato 26901 pazienti sottoposti a trapianto allogenico con cellule ematopoietiche presso 271 centri per definire le caratteristiche dei disordini linfoproliferativi che insorgono nel post-trapianto (DLPT). DLPT si sono sviluppati in 127 recipienti, con 105 casi (83%) verificatisi entro un anno dal trapianto. In analisi multivariata, il rischio di DLPT è fortemente associato alla T-deplezione, all’utilizzo di globulina anti-timocitaria e al trapianto non relato o non HLA-compatibile (p < 0.001). Associazioni significative sono state anche confermate per GVHD acuta e cronica. L’aumentato rischio associato all’uso di donatori non relati o non HLA-compatibili (RR = 3.8) era limitato ai pazienti con deplezione di cellule T o all’utilizzo di globulina anti-timocitaria (p = 0.004). I risultati, pubblicati nella rivista Blood (leggi abstract originale), confermano un rischio maggiore per il trapianto in età uguale o superiore a 50 anni (RR = 5.1; p < 0.001) e per il secondo trapianto (RR = 3.5; p < 0.001). Rischi minori si osservano per i metodi di deplezione che allontanino sia cellule T che B (alemtuzumab ed elutriazione, RR = 3.1; p = 0.025), rispetto agli altri metodi (RR = 9.4; p = 0.005 per la differenza). Nei 21686 pazienti è stata osservata una bassa incidenza cumulativa di DLPT (0.2%) in assenza di fattori maggiori di rischio; l’incidenza aumentava progressivamente a 1.1%, 3.6% e 8.1% in presenza di 1, 2 e più di 3 fattori di rischio, rispettivamente.SIEnews – Numero 12 – 25 giugno 2009