sabato, 23 settembre 2023
Medinews
14 Settembre 2015

DETERMINAZIONE QUANTITATIVA DEI RECETTORI DELLA FAMIGLIA HER NEL TUMORE MAMMARIO

Il successo clinico di trastuzumab nel tumore mammario ci ha insegnato che un’appropriata valutazione del tumore è essenziale per la corretta identificazione delle pazienti eleggibili alle terapie target. Sebbene per selezionare le pazienti che dovranno ricevere trastuzumab si utilizzino routinariamente dosaggi immunoistochimici (IHC) e di amplificazione genica con ibridazione in situ fluorescente (FISH) dell’espressione della proteina HER2, entrambi i dosaggi predicono solo in parte la risposta al farmaco. Nel caso del recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR), il legame tra la presenza o l’amplificazione del recettore con la risposta alle terapie anti-EGFR potrebbe non essere dimostrato. Ancor meno informazioni si hanno su HER3 ed HER4, principalmente per la mancanza di dosaggi sicuri e validati che identifichino queste proteine. Inoltre, è sempre più evidente che, oltre a FISH e IHC, sono necessari dosaggi migliori per quantificare i recettori HER e dunque classificare le pazienti per personalizzare i trattamenti. In questa revisione, pubblicata sulla rivista Breast Cancer Research (leggi testo), ricercatori europei descrivono le metodiche attualmente disponibili per misurare i recettori appartenenti alla famiglia HER e discutono le implicazioni cliniche di ottenere una determinazione quantitativa.
“Dovrebbe essere ovvio – commenta il dottor Maurizio Scaltriti, co-autore dell’articolo e direttore del José Baselga Lab, Human Oncology and Pathogenesis Program (HOPP), al Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York -, che per somministrare un farmaco cosiddetto ‘mirato’ ci si debba assicurare di quanto ‘bersaglio’ sia presente nelle cellule tumorali. Tuttavia, nella pratica clinica siamo tuttora ancorati al concetto di ‘positività’ e ‘negatività’, senza chiederci se la ‘quantità’ di un recettore o di una chinasi in generale sia importante per la risposta terapeutica. A mio modo di vedere, è un po’ come andare a pesca in un lago dove sappiamo che ci sono pesci, ma non sappiamo quanti …e sperare che abbocchino. L’esempio forse più eclatante è il cancro della mammella HER2-positivo. Sappiamo che questo sottotipo risponde molto bene a terapie come il trastuzumab, però è altrettanto evidente che, all’interno di questa popolazione, troviamo differenze di espressione del recettore fino a 100 volte. E abbiamo dimostrato, con differenti tecniche, che quanto più HER2 è presente nelle cellule tumorali, tanto più la paziente ha probabilità di rispondere (Montemurro et al. Mol Oncol. 2014 Feb;8(1):20-6; Scaltriti et al. Clin Cancer Res. 2015 Feb 1;21(3):569-76; Nuciforo et al. Mol Oncol 2015 in press)”.
“Un altro esempio è la terapia anti-EGFR nel cancro della mammella triplo negativo – continua Scaltriti -. Due studi clinici (Carey et al. J Clin Oncol. 2012 Jul 20;30(21):2615-23; Baselga et al. J Clin Oncol. 2013 Jul 10;31(20):2586-92) hanno concluso che l’uso del cetuximab è scarsamente efficace in questo sottotipo tumorale. Però questi studi non hanno valutato la presenza di EGFR nelle biopsie eseguite prima del trattamento, assumendo che una buona percentuale di questi tumori fosse ‘positiva’ per EGFR. Semplicemente misurando l’espressione di EGFR in campioni ottenuti da pazienti che hanno ricevuto cetuximab o panitumumab (insieme alla chemioterapia standard) in terapia neoadiuvante, abbiamo dimostrato che quanto più EGFR era presente sulla superficie delle cellule tumorali, tanto maggiore era la probabilità di ottenere una risposta patologica completa (Tao et al. Sci Signal. 2014 Mar 25;7(318):ra29)”.
“Un altro aspetto che si tende a dimenticare è l’avanzamento tecnologico. Insieme alla genomica e alla trascrittomica, anche la proteomica ha fatto passi da gigante, adattandosi sempre più alle esigenze cliniche quotidiane. Oggi, per esempio, è possibile quantificare fino a 20-30 proteine con spettrometria di massa usando solo un paio di vetrini di tessuto in paraffina. E queste tecnologie sono molto spesso certificate CLIA (Clinical Laboratory Improvement Amendments). Quindi – conclude il dottor Scaltriti -, si dovrà arrivare prima o poi a prendere in considerazione queste tecnologie. E non solo per quanto riguarda HER2 o EGFR. Basti pensare, per esempio, all’importanza di proteine come PD-1 o PD-L1 in immunoterapia”.
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