5 Luglio 2012
BIOSIMILARI DI FARMACI BIOLOGICI: CONSIDERAZIONI REGOLATORIE, CLINICHE E COMMERCIALI
La revisione pubblicata nel 2011 da George Dranitsaris di Augmentium Pharma Consulting, Toronto, Eitan Amir del Princess Margaret Hospital di Toronto e Kristine Dorward dell’Università di Manchester (GB) sottolinea innanzitutto che i biologici si distinguono dai farmaci tradizionali per le dimensioni maggiori e il processo di produzione particolarmente delicato. Negli ultimi 10 anni si è assistito ad un rapido incremento di biologici che hanno ricevuto l’approvazione regolatoria nel mondo ed, entro la fine del 2009, gli studi in fase III di biologici rappresentavano circa il 38% del totale dei prodotti in sviluppo. I farmaci che ricevono l’approvazione regolatoria sono coperti da brevetto e, poiché questo ha una durata di 20 anni, i biologici di prima generazione (come eritropoietina e G-CSF), sviluppati alla fine degli anni ’90, hanno raggiunto o sono prossimi alla scadenza, compresi molti mAb (rituximab e trastuzumab) che la aggiungeranno nei prossimi 4-5 anni. Gli autori hanno condotto una ricerca bibliografica sui database di PubMed, EMBASE e Cochrane tra gennaio 2000 e giugno 2011, con le seguenti parole chiave: ‘biosimilar’ o ‘subsequent entry biologic’ o ‘follow on biologic’ e ‘regulatory pathway’ o ‘approval’ e identificato 135 articoli e selezionati 39 per una revisione più approfondita. I biosimilari, diversamente dai farmaci generici che hanno una struttura chimica definita e riproducibile, sono proteine che presentano non solo una sequenza primaria, ma anche una struttura secondaria e soprattutto terziaria e le eventuali catene laterali di zuccheri (glicosilazione) possono alterarne la struttura tridimensionale e la stabilità. Un particolare che contraddistingue la registrazione dei biologici, e quindi la produzione di biosimilari, dai farmaci originali e dai generici è la segretezza del processo di produzione (che include anche il controllo di qualità e non è reso noto neanche alle agenzie regolatorie). Ciò impedisce l’effettiva intercambiabilità di un biosimilare con il biologico di riferimento, come invece succede per i generici con i farmaci standard. L’agenzia regolatoria europea (EMA) per rilasciare l’approvazione alla commercializzazione richiede quindi studi di comparabilità farmacocinetica, mentre l’agenzia statunitense (FDA), almeno fino allo scorso anno, permetteva la produzione di un biosimilare (‘biologico follow-on’) e la intercambiabilità con il biologico. Altro aspetto dei biologici è che possono subire variazioni con il passare del tempo (dalla registrazione) in seguito a modificazione dei processi di produzione e/o a utilizzo di strutture diverse. È stato suggerito che le agenzie regolatorie riconoscano tale variabilità, che creerebbe quindi limiti di accettabilità e giocherebbe a favore dell’approvazione di biosimilari. L’EMA per l’approvazione di biosimilari prevede: studi preclinici (comparativi e di tossicità), di farmacodinamica (dose-efficacia clinica in volontari sani), di farmacocinetica (via sottocutanea ed endovenosa e criteri di accettazione per studi clinici) e clinici (almeno uno di equivalenza con il biologico di riferimento o uno a tre bracci, biosimilare vs biologico e placebo); inoltre, se previste diverse vie di somministrazione (ad esempio s.c. ed e.v.) devono essere programmati studi separati per ogni via, l’estrapolazione ad altre localizzazioni della malattia può essere permessa, ma è prevista una valutazione caso per caso, sicurezza (almeno uno studio di equivalenza vs il biologico originale), immunogenicità (tutti gli studi clinici devono comprendere analisi degli anticorpi) e qualifiche di post-approvazione (monitoraggio specifico di efficacia per le indicazioni estrapolate e farmacovigilanza). Anche l’immunogenicità è un importante fattore di sicurezza: le impurità possono derivare dai processi di produzione delle linee cellulari o dai mezzi di coltura e bisogna ricordare che i biosimilari possono essere sintetizzati con procedure diverse da quelle utilizzate per i biologici originali, perché non note. Per dimostrare l’efficacia e la sicurezza comparativa di un biosimilare, l’EMA ha rilasciato delle linee guida per ogni classe di prodotto (eritropoietina, G-CSF, insulina, hGH, IFN-alfa ed eparine a basso peso molecolare). In Europa, negli ultimi 5 anni (al 2011, data di pubblicazione di questa revisione) sono stati approvati 14 biosimilari e l’EMA offre informazioni e consulenza alle aziende produttrici sugli studi necessari per ricevere l’approvazione. Al contrario di quanto succede con l’EMA, le direttive di altri Paesi sono meno precise. Negli Stati Uniti la legge approvata a marzo dello scorso anno (Biologics Price Competitions and Innovation Act) permetteva alla FDA di approvare biosimilari (biologici ‘follow-on’) e di decidere riguardo l’intercambiabilità con il biologico di riferimento. L’Australia ha adottato le linee guida dell’EMA, con discussione caso per caso. In Canada, l’agenzia regolatoria ha preparato delle linee guida che saranno discusse con le aziende produttrici, ma il piano è di distinguerle per classe di prodotto come avviene in Europa. Infine, il Giappone, tra i Paesi industrializzati, ha recentemente divulgato delle linee guida molto vicine ai criteri adottati dall’EMA. In India e Cina, al contrario, l’iter di approvazione dei biosimilari non è così dettagliato e molti prodotti, considerati biosimilari in questi Paesi, sono commercializzati o in fase di sviluppo: naturalmente non possono essere considerati biosimilari in Europa perché non sono stati adeguatamente testati, almeno secondo i canoni sviluppati dall’EMA. I biosimilari offrono una riduzione dei costi, tuttavia esistono importanti aspetti che il medico deve considerare prima di sostituirli al biologico originario e non è quindi verosimile che i sanitari antepongano il risparmio sui costi alla salute del paziente, specialmente se si parla di prodotti con anni di esperienza clinica e successo di trattamento alle spalle. Le nuove sfide per i biosimilari sono dunque una rigorosa farmacovigilanza (prospettata dall’EMA), l’accettazione da parte del medico e del paziente, una valida commercializzazione, la competizione e la riduzione dei costi. I biosimilari approvati dall’EMA offrono un risparmio del 30% rispetto ai biologici originari, ma malgrado questa differenza il loro uso in Europa è ancora molto limitato: in Francia e Germania i 6 biosimilari di filgrastim coprono meno del 50% del mercato totale e questo è in contrasto con l’erosione osservata con i generici dei farmaci brevettati. Tuttavia, all’introduzione di un nuovo biosimilare, l’azienda produttrice del biologico può competere in termini di prezzo, brevetto, incertezza su efficacia e sicurezza, e sviluppo, come sta succedendo con Roche che sta sviluppando prodotti di nuova generazione per rituximab, trastuzumab e bevacizumab. In Europa, Sandoz ha dominato il mercato dei biosimilari fin dal 2007 con l’immissione in commercio di 4 su 5 prodotti e innovatori come Amgen, Biogen Idec, Roche, Merck & Co e Novo Nordisk hanno annunciato piani per biologici di nuova generazione mentre Pfizer ha espresso l’intenzione di lanciare la nuova versione di etanercept (artrite reumatoide). In conclusione, i biosimilari (o, come li chiamano gli americani, biologici ‘follow-on’) sono una realtà clinica e molti ancora saranno introdotti nei prossimi dieci anni; offrono un risparmio dei costi sanitari, pur presentando alcune incertezze su sicurezza ed efficacia specialmente se riferiti ai biologici con indicazioni multiple. Ma, per rassicurare, alcuni biosimilari sono ormai stati utilizzati in Europa per almeno 4 anni, ad es. quelli di somatotropina, epoetina alfa e filgrastim, e ad oggi non sono emersi eventi avversi. La speranza è che agenti regolatori di altri Paesi possano emulare l’approccio europeo (regolamentazione EMA) e sviluppare iter di approvazione validi.