COME LA PRIMA ONDATA DEL COVID HA CAMBIATO L’USO DELLA RADIOTERAPIA
Uno studio a livello nazionale ha evidenziato in dettaglio come sia cambiato l’utilizzo della radioterapia nel Servizio Sanitario Nazionale inglese durante i mesi iniziali della pandemia COVID-19. “Nonostante l’attività radioterapica sia diminuita durante la prima ondata della pandemia, i dati suggeriscono che l’impatto globale di questo decremento è probabilmente modesto”, afferma Katie Spencer, della University of Leeds nel Regno Unito, e co-autore dello studio pubblicato su The Lancet Oncology. “Inoltre, la radioterapia sembra aver mitigato alcuni danni indiretti della pandemia, mantenendo le opzioni di trattamento curativo nonostante le difficoltà incontrate dagli interventi chirurgici”. Le analisi del National Radiotherapy Dataset hanno mostrato una diminuzione dal 2019 al 2020 della percentuale dei cicli settimanali di radioterapia in aprile (19,9%), maggio (6,2%) e giugno (11,6%), così come un maggiore calo della partecipazione dei pazienti durante questi mesi (29,1%, 31,4% e 31,5%,…continua a leggere
IL NUOVO PIANO UE
“AUMENTO DI PRODUZIONE DEI VACCINI, ITER PIU’ VELOCI PER L’APPROVAZIONE E NUOVI TEST”La Commissione Ue lancia il suo Piano per preparare l’Europa alla crescente minaccia delle varianti del coronavirus di cui la commissaria von der Leyen aveva già parlato lo scorso 10 febbraio davanti al Parlamento europeo. Con questo nuovo piano europeo di preparazione alla difesa biologica contro le varianti di COVID-19, denominato “HERA Incubator”, sarà avviata una collaborazione con ricercatori, aziende di biotecnologie, produttori e autorità pubbliche nell’UE e a livello mondiale per individuare le nuove varianti, incentivare lo sviluppo di vaccini adattati e nuovi, accelerarne il processo di approvazione e aumentare la capacità produttiva. “È importante agire adesso – affermano dalla Commissione -, mentre continuano a comparire nuove varianti ed emergono le sfide correlate all’aumento della produzione dei vaccini. Lo ‘HERA Incubator’ fungerà anche da modello per la preparazione a lungo termine dell’UE alle emergenze…continua a leggere | LE CONSEGUENZE DEL VIRUS: CALO DI MEMORIA E “NEBBIA MENTALE”
Meno reattivi, imprigionati in una sorta di nebbia mentale, alle prese con problemi di memoria. Sono le conseguenze neurologiche di Covid-19 che persistono in alcuni pazienti anche dopo mesi dal giorno in cui hanno lasciato l’ospedale. A fotografare la sofferenza silenziosa dei reduci dalla battaglia contro Sars-CoV-2 è uno studio italiano coordinato dall’Università Statale di Milano, che indaga nella fase post ospedaliera dei malati Covid, a distanza di 5 mesi: rallentamento mentale e difficoltà di memoria i sintomi più persistenti riferiti. Sono persone che si lasciano alle spalle l’ospedale e, anche se il tempo passa, continuano a fare i conti con le conseguenze del virus. Lamentano stanchezza e mancanza di lucidità, fatica nelle attività quotidiane come lavorare, guidare l’automobile o fare la spesa. Lo studio, pubblicato sulla rivista “Brain Sciences”, riporta la valutazione delle funzioni cognitive, fatta 5 mesi dopo la dimissione dall’ospedale, in un gruppo di 38 pazienti precedentemente ricoverati. Età tra i 22 ed i 74 anni, senza disturbi della memoria o dell’attenzione prima del ricovero. La ricerca coordinata da Roberta Ferrucci, ha visto la collaborazione del Centro Aldo Ravelli del dipartimento di Scienze della Salute dell’Università degli Studi di Milano, dell’Asst Santi Paolo e Carlo e dell’Irccs Istituto Auxologico di Milano, e documenta che 6 pazienti su 10 guariti dal Covid-19 hanno un rallentamento mentale e ottundimento e 2 su 10 riportano oggettive difficoltà di memoria. Questi disturbi, puntualizzano gli autori dello studio, non sono associati a depressione ma sono correlati alla gravità della relativa insufficienza respiratoria durante la fase acuta della malattia. Le alterazioni osservate si riscontrano anche in pazienti giovani. . “Questo è uno studio importante che dimostra che i disturbi di memoria e il rallentamento dei processi mentali osservati, in più della metà dei nostri pazienti, persistono anche mesi dopo la dimissione – spiega Alberto Priori, direttore della Clinica neurologica dell’Università di Milano...continua a leggere
| AGENAS: 65% ITALIANI PRONTO A FARE IL VACCINO CONTRO IL COVID
Per il 69,4% degli italiani il vaccino contro Covid-19 è il modo più rapido per tornare alla normalità. La pensano così soprattutto gli ‘over 65’ (76,3%), mentre l’11,7% non è d’accordo. E ancora, il 65,2% ha intenzione di vaccinarsi appena possibile, invece il 17,6% non sembra intenzionato a farlo. Anche in questo caso, i più propensi sono gli ultra65enni (75,4%). A essere maggiormente in disaccordo (22,2%) sono i cittadini tra i 35 e i 44 anni. Questi i dati emersi da un‘indagine condotta dall’AGENAS (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) e dal Laboratorio Management e Sanità (MeS) dell’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa su larga scala, coinvolgendo 12.322 residenti di tutte le Regioni e Province autonome, per fotografare le attitudini della popolazione italiana nei confronti del vaccino e della vaccinazione contro Covid-19. La propensione è largamente favorevole, ma un ruolo chiave lo giocano l’informazione e l’organizzazione della campagna vaccinale...continua a leggere
IL VACCINO
UNA SOLA DOSE A CHI HA AVUTO L’INFEZIONE
Per chi ha già avuto il Covid una dose di vaccino Pfizer o Moderna aumenta la protezione immunitaria anche contro le varianti, mentre una seconda dose non dà effetti particolari e può essere evitata. Lo affermano due studi, ancora non pubblicati, del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle e della New York University. La prima ricerca si basa sulle analisi del sangue di un campione di dieci volontari, tutti che avevano avuto la malattia, di cui sette vaccinati con una dose di Pfizer e tre con una di Moderna. “Il vaccino ha alzato il livello di anticorpi nel sangue di migliaia di volte – spiega Andrew McGuire, uno degli autori, al New York Times -. Un’amplificazione veramente massiccia”. Nei test di laboratorio è emerso che non solo gli anticorpi sviluppati dai vaccinati sembrano più efficaci di quelli di chi ha avuto due dosi del vaccino ma non l’infezione, ma anche che riescono a debellare anche la ‘variante sudafricana’ del virus. Una sola dose,…continua a leggere |