venerdì, 9 giugno 2023
Medinews
19 Dicembre 2005

ROMANE IPERTESE: SONO 7 SU 10 DOPO I 50 ANNI. IL KILLER AL FEMMINILE SI CHIAMA INFARTO

Roma – Il nemico più pericoloso per le donne non è il tumore del seno ma l’infarto. I dati parlano chiaro: in Italia abbiamo 30mila decessi al femminile per un attacco cardiaco contro gli 11mila da carcinoma della mammella. e anche i romani e le romane non stanno meglio dei connazionali. Fattore di rischio decisivo, la pressione: Il 31% degli uomini e il 29% delle donne è iperteso. Il 18% degli uomini e il 13% delle donne sono a rischio. Per quanto riguarda le donne in particolare, ben il 70%, dopo i 50 anni e la menopausa, ha i valori fuori posto, superiori a 140/90 considerati il limite ottimale. Dati destinati ad aumentare in mancanza di interventi di sensibilizzazione delle donne soprattutto sul fronte della prevenzione (dei ritmi di vita sempre più stressanti, del fumo e dell’alimentazione) e della cura. È questo l’argomento di analisi dell’incontro pubblico “Quando il cuore delle donne è sotto pressione” che si è svolto oggi a Roma nell’ambito degli appuntamenti del congresso nazionale della Società Italiana di Cardiologia (SIC). Al tavolo, moderato da Carlo Gargiulo consulente medico della trasmissione Elisir di Rai Tre, alcuni tra i massimi specialisti della cura dell’ipertensione in Italia tra i quali il prof. Massimo Volpe, Università di Roma. Le relazioni sono state incentrate su tre tematiche principali: “Quando e perché preoccuparsi”, “Controllare la pressione è semplice ma importante” e “Consigli utili per vivere felici”.

“La prevalenza dell’ipertensione nelle donne di età superiore ai vent’anni – spiega il prof. Volpe – è del 25% circa, in media. È inferiore nelle donne di giovane età rispetto agli uomini della stessa età; ma questa differenza si riduce progressivamente dai 40 anni, anche prima dell’inizio della menopausa, e si inverte successivamente. Dopo la menopausa aumenta progressivamente e dai 70 anni il 60% degli ipertesi è rappresentato dalle donne”. Ma il vero problema sono le conseguenze dell’ipertensione, che come è noto è fattore di rischio importante per eventi cardiovascolari che comprendono le malattie coronariche, l’infarto del miocardio, lo scompenso cardiaco, l’ictus cerebrale e il danno renale progressivo.
“Queste conseguenze – spiega il Prof. Volpe – possono colpire sia gli uomini che le donne. Ma quando si verifica un evento cardiovascolare nelle donne, ictus o infarto che sia, in genere determina conseguenze più gravi. Per esempio l’ictus, che sembra essere più frequente nell’uomo, decorre in modo più grave nella donna. Dopo un infarto la mortalità a un anno è superiore nella donna rispetto all’uomo. I motivi non sono ben definiti; in parte è stato rilevato che le donne accedono meno ad alcune terapie e ad alcune indagini, ma il dato di fatto è che, per vari motivi, l’esito decorre in modo più grave rispetto agli uomini”. “Nonostante ciò – aggiunge la dottoressa Flora Rita Carnevale, medico di medicina generale – queste malattie vengono ancora considerate da molti come tipiche del sesso maschile. Si tende pertanto a non dare la giusta importanza ai fattori di rischio nella donna e non trattarli adeguatamente. Spetta in prima battuta ai medici di famiglia mettere in atto le strategie finalizzate ad aumentare la prevenzione delle malattie cardiovascolari nel sesso femminile avvalendosi e collaborando con gli specialisti”.
L’ipertensione si associa inoltre ad altri fattori di rischio (alterazione del metabolismo lipidico, del metabolismo glucidico, sovrappeso). Nelle donne più spesso che negli uomini, soprattutto dopo la menopausa, prevalgono l’obesità, il soprappeso e le alterazioni del metabolismo glucidico fino al diabete. In menopausa, in particolare, la riduzione degli ormoni sessuali, che hanno un effetto cardioprotettivo, influenza negativamente i fattori di rischio cardiovascolare. La terapia, quindi, deve tener conto di questi fattori. “Dal punto di vista della prevenzione – conclude il prof. Volpe – bisogna cercare di prevenire queste alterazioni associate anche con lo stile di vita, evitando l’aumento del peso e le conseguenze che questo comporta. E nella scelta dei farmaci è necessario usare quelli che abbiano un effetto favorevole nel ridurre non soltanto la pressione arteriosa ma anche i fattori di rischio associati. Sappiamo, per esempio, che i farmaci che riducono l’attività del sistema renina-angiotensina, come gli ACE-inibitori e i sartani, sembrano essere superiori ad altre classi di farmaci nel prevenire o ritardare l’insorgenza del diabete soprattutto nei pazienti in sovrappeso. Dai numerosi trial effettuati sappiamo che rispetto agli altri farmaci antipertensivi, i farmaci citati ritardano l’insorgenza del diabete. Infatti nelle donne, soprattutto dopo la menopausa, il sovrappeso (o l’obesità) che predispone al diabete è più frequente”.
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