ROMA, ONCOLOGI E MEDICI DI FAMIGLIA ALLEATI PER MIGLIORARE LA QUALITÀ DI VITA DEI PAZIENTI
Per rispondere a questa domanda, l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) e la Società Italiana di Medicina Generale (SIMG) hanno deciso di lavorare insieme, proponendo un approccio integrato al cancro, con particolare riguardo al miglioramento della qualità di vita del paziente. L’iniziativa – promossa dalle due principali società scientifiche in partnership con OrthoBiotech – si tiene in circa 50 città della Penisola: si tratta di corsi di formazione (tutti con crediti ECM), appositamente studiati e realizzati da oncologi medici e medici del territorio esperti in oncologia, con l’obiettivo di coinvolgere complessivamente 3000 medici di famiglia in tutta Italia. Per Roma e provincia, sono stati programmati due incontri. Il primo coordinato dal dott. Filippo De Marinis, si è svolto l’8 novembre scorso. Il prossimo è in programma domani al Centro Congressi IFO – Istituto Regina Elena, in via Fermo Ognibene, a partire dalle ore 9. In cattedra, il prof. Francesco Cognetti e la dr.ssa Paola Giovannetti, medico di famiglia della SIMG.
“Il filo conduttore di questa prima esperienza – spiega il prof. Cognetti – sarà la fatigue, una malattia che, malgrado interferisca talmente nella vita del paziente da condizionarlo anche nelle cure, per esempio limitando il numero dei cicli di chemioterapia e di conseguenza la loro efficacia, rimane sottostimata dai medici e misconosciuta dai pazienti, i quali vivono le sue manifestazioni come una conseguenza inevitabile del cancro. Solo il 38% di chi ne soffre ne fa infatti parola con il proprio medico, meno di una persona su due, e solo il 9% viene sottoposto a trattamenti specifici”. Il progetto pilota (che potrà proseguire coinvolgendo tutte le città italiane) gode dell’appoggio anche del Ministero della Salute.
“La grande novità di questi corsi, che a mio avviso può veramente rappresentare il punto di svolta nell’assistenza al malato di cancro – afferma la dr.ssa Giovannetti – è il rapporto che si struttura in ogni città tra la medicina del territorio e lo specialista. Sono infatti convinta che la conoscenza diretta e l’interscambio culturale tra il medico di famiglia e l’oncologo di riferimento non potranno che migliorare il sostegno clinico e psicologico al paziente. Il cancro non è quasi mai una malattia acuta ed è proprio la sua ‘cronicità’ che impone agli attori chiamati a curarlo di condividere il percorso stabilito, in una sorta di grande alleanza, e non solo terapeutica, che veda sempre al centro il paziente”. Un nuovo approccio alla malattia ed al malato che trova pienamente d’accordo il prof. Cognetti. “Per scoprire i tumori nella fase più precoce possibile e per una più attenta gestione della qualità della loro vita abbiamo bisogno della collaborazione dei medici di medicina generale. Sono loro infatti a sollecitare l’assistito a fare un controllo, magari di screening, oppure ad individuare un sintomo anomalo, o a segnalare allo specialista i problemi che assillano il malato nel corso della terapia. Per rendere fattiva la collaborazione è però indispensabile che il medico di famiglia si rapporti all’oncologo di riferimento e che le due figure abbiano nuove occasioni d’incontro”.
Per contrastare nel modo più efficace il cancro è necessario dunque aumentare le conoscenze. E’ scontato che siano gli oncologi ad interessarsi per primi e a effettuare ricerche, ma anche il medico di famiglia, a cui per primo il paziente si affida, deve essere informato per aiutare al meglio i propri assistiti. “I medici di medicina generale rivestono in questi casi un ruolo fondamentale – afferma la dr.ssa Giovanetti: più la patologia è complessa, più il paziente è alla ricerca di risposte. Se si chiede all’oncologo quale secondo lui sia il sintomo più invalidante per il proprio paziente la risposta prevalente è il dolore. Se però la stessa domanda viene fatta al malato, questi non ha dubbi e mette al primo posto una situazione che definisce ‘grande stanchezza’, cioè la fatigue. Ciò che più conta è che il malato esca allo scoperto, parli dei suoi disturbi, perché oggi abbiamo la possibilità di curare al meglio queste manifestazioni collaterali e non ha più senso che il malato sopporti in silenzio”.