La struttura, del valore complessivo di 1,4 milioni di euro, potra’ ospitare 12 malati in camere singole con letto aggiuntivo, bagno, aria condizionata, frigobar, Tv e computer
Milano – Nasce all’ospedale Sacco di Milano il primo hospice italiano per l’assistenza ai malati di Aids in fase terminale. La struttura e’ gia’ pronta e sara’ operativa a breve, dopo l’accreditamento da parte della Regione Lombardia. Ad annunciare la realizzazione della ‘casa-ospedale’ e’ la professoressa Antonietta Cargnel, primario della II Divisione di malattie infettive dell’azienda ospedaliera di via Grassi, intervenuta oggi alla presentazione del III Workshop ”Emergenza e management delle resistenze del virus Hiv” e del VII Congresso internazionale ”Aids e assistenza domiciliare. Le nuove sfide”, in programma oggi e domani nel capoluogo lombardo.”Con la Societa’ italiana di cure palliative lavoravamo al progetto gia’ da tempo – ha affermato Cargnel – in anni in cui i malati di Aids morivano ancora come mosche”. Oggi non e’ piu’ cosi’, ha precisato la specialista, ma l’apertura di questo hospice rimane comunque ”un sogno che si realizza”. Grazie a fondi messi a disposizione dall’ex ministro della Sanita’ Rosy Bindi, e integrati dalla Regione Lombardia, ”abbiamo rimesso a nuovo un padiglione gia’ esistente e lo abbiamo attrezzato. E il mio desiderio – ha riferito l’esperta – e’ quello di dotare ciascuna stanza di tecnologia ‘net-meeting’, cosi’ che ogni ospite possa entrare in contatto video con la persona lontana che piu’ desidera sentire accanto”.
Quando si parla di hospice, ha proseguito Cargnel, si pensa di solito ai malati di cancro. Quello milanese, invece, ”sara’ il primo hospice in Italia accreditato dalla Regione per l’assistenza ai malati di Aids”. Conferma il direttore generale del Sacco, Franco Sala. ”L’opera e’ stata realizzata grazie a fondi statali e regionali (1,3 milioni di euro per la ristrutturazione del padiglione e circa 100mila euro per gli arredi)”, dice all’Adnkronos Salute. Sara’ attivo ”al termine dell’iter di accreditamento regionale, quindi tra 2 o 3 mesi al massimo, e si avvarra’ dei medici gia’ in servizio in reparto e di una ventina di infermieri, da reperire insieme a personale e volontari per le attivita’ di tipo sociale e di supporto psicologico”. Con questo hospice, conclude Sala, ”il nostro Dipartimento di malattie infettive, che vanta un’esperienza decennale ed e’ centro di riferimento nazionale con quello dello Spallanzani di Roma, completa il ciclo di assistenza ai malati di Aids e garantisce una vera continuita’ assistenziale”.
Gli specialisti riuniti a Milano, provenienti da tutto il mondo, faranno il punto sullo stato attuale dell’infezione che ad oggi conta in Italia oltre 50mila malati e circa 100mila sieropositivi. Affronteranno poi problematiche ancora irrisolte quali la resistenza ai farmaci, la tossicita’ dei medicinali, le nuove tecniche per monitorare la terapia, la co-infezione Hiv e Hcv (virus dell’epatite C) e i bisogni della donna sieropositiva”.
La resistenza ai farmaci, ha spiegato Cargnel, e’ ”abbastanza contenuta a livello di trasmissione virale (quando l’infezione si trasmette la presenza di un virus gia’ resistente e’ limitata) ma e’ alta e in aumento tra i soggetti in terapia”. Evidenze sperimentali ancora da sviluppare sul piano clinico dimostrano l’esistenza di resistenze ‘positive’, in cui il farmaco (e’ il caso della lamivudina) induce mutazioni virali in grado di ridurre la capacita’ replicativa dell’Hiv, ma per ora la resistenza rimane tra le cause principali del fallimento terapeutico. ”Insieme alla tossicita’ dei farmaci (lipodistrofia e alterazioni dei livelli di colesterolo e trigliceridi nel sangue, che aumentano il rischio di diabete e malattie cardiovascolari) – che spesso portano il paziente ad abbandonare la cura”, ha ricordato l’esperta.
Un’opportunita’ ”molto vantaggiosa, che al Sacco stiamo adottando – ha aggiunto – e’ il monitoraggio plasmatico dei farmaci attraveso prelievi di sangue periodici”. Con questa tecnica si valuta se il dosaggio e’ efficace, insufficiente o tossico, e si verifica l’aderenza del paziente alla terapia. Una minaccia sempre maggiore e’ invece ”l’epatite C, che nei sieropositivi evolve molto piu’ rapidamente in cirrosi e aumenta la tossicita’ dei medicinali anti-Hiv, e che negli anni e’ diventata la causa di morte principale per gli infetti (se nell”89 i malati del mio reparto morivano nell’81% dei casi per infezioni opportunistiche e nel 5% per epatite, 10 anni dopo le infezioni opportunistiche sono scese al 44% e l’epatite e’ salita al 38%)”. Infine c’e’ il problema della gravidanza nelle donne sieropositive. ”Un discorso molto delicato – ha concluso Cargnel – perche’ i farmaci presi della madre potrebbero essere teratogeni e non abbiamo ancora dati a lungo termine sull’incidenza di tumori nei bambini nati da donne con l’Hiv”.