Copenhagen, 24 aprile 2009 – Con il trattamento a lungo termine inibita la ripresa del virus. In Italia 700 mila persone colpite, ma solo una esigua minoranza segue una terapia adeguata
Affrontare l’epatite B cronica e controllarla senza sviluppare resistenze al virus. Oggi è possibile. Il 99% dei pazienti in cura con entecavir, molecola di nuova generazione e antivirale orale per il trattamento di questa malattia, non ha infatti sviluppato resistenza nei confronti del farmaco nel corso di sei anni di terapia. Il tasso di probabilità cumulativa di resistenza è infatti attorno all’1% a sei anni, risultato mai raggiunto nella storia farmacologica di questa malattia cronica, nei pazienti che non hanno seguito in precedenza alcun trattamento con antivirali orali. I dati confermano l’alta barriera genetica di entecavir e il bassissimo rischio di sviluppare resistenza. I risultati sono presentati a Copenhagen, dove è in corso il 44° Congresso dell’Associazione europea per lo studio del fegato (European Association for the Study of the Liver – EASL), il più importante appuntamento continentale sulle malattie epatiche, che vede la partecipazione di circa 7.400 esperti. La molecola ha anche dimostrato, dopo sei anni di somministrazione, di essere in grado di ridurre i danni a carico del fegato nel 96% dei pazienti. “Questi nuovi dati – afferma il prof. Pietro Lampertico dell’Università degli Studi di Milano – confermano che un trattamento a lungo termine con un antiretrovirale potente e che non causa insorgenza di resistenze è potenzialmente in grado di arrestare il danno epatico e può perfino migliorare la fibrosi epatica”. In particolare, nello studio ETV 901, il trattamento a lungo termine (per sei anni) con entecavir è stato associato al miglioramento dell’istologia epatica, compresa la fibrosi, in pazienti affetti da epatite B cronica. Nell’ambito di questo studio sono stati valutati i risultati istologici a lungo termine in 57 persone non trattate in precedenza con un antivirale orale provenienti da due studi di fase III. Nel 96% dei pazienti (55 su 57) sono stati evidenziati miglioramenti nell’istologia epatica. Inoltre, nell’88% dei pazienti (50 su 57) si è manifestata la riduzione della fibrosi epatica (la formazione di tessuto cicatriziale nel fegato come reazione a un’infiammazione cronica che può essere causata dall’infezione da epatite B cronica).Purtroppo la percezione della gravità della malattia è ancora scarsa e preoccupa la mancanza di ricorso a cure appropriate. Sono sufficienti pochi dati per cogliere le dimensioni del problema: nel mondo vi sono circa 350 milioni di portatori cronici del virus, che è responsabile dell’80% dei casi di tumore al fegato e di più di un milione di morti ogni anno. In Europa le persone colpite sono più di 10 milioni. Ma qual è la situazione nel nostro Paese? Si calcola che vi siano circa 700 mila portatori cronici in Italia, dove ogni giorno 57 persone muoiono per cirrosi o tumore del fegato. E oggi si stima che solo venticinquemila persone siano in terapia, ma molte di più potrebbero trarre beneficio da trattamenti efficaci per arrestare l’evoluzione della malattia. Se non trattata, infatti l’epatite B cronica evolve in cirrosi nel 10-20% dei casi ed in quasi la metà di questi si verifica il decesso per insufficienza epatica o epatocarcinoma.
Per maggiori informazioni sull’epatite è disponibile il sito www.epatiteb.info, in 9 lingue.