lunedì, 5 giugno 2023
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5 Maggio 2009

UNA NUOVA MOLECOLA PER PREVENIRE L’ICTUS. COMBATTE I DANNI DELLA FIBRILLAZIONE ATRIALE

Milano, 11 marzo 2009 – L’anticoagulante orale rivaroxaban sarà disponibile entro l’estate per la profilassi del tromboembolismo venoso negli interventi di chirurgia protesica ortopedica maggiore di anca e ginocchio

Sono 200.000 gli italiani colpiti ogni anno da ictus cerebrale che, spesso, vanno incontro a grave disabilità permanente. Nel 25% dei casi, la causa è la fibrillazione atriale che si manifesta con sintomi di affaticamento, irregolarità del battito cardiaco, palpitazioni, dispnea. “Il 5% dei pazienti con fibrillazione atriale – afferma il prof. Diego Ardissino, direttore dell’Unità Operativa di Cardiologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Parma – va incontro a un evento tromboembolico. La malattia colpisce in egual misura donne e uomini e tende a diventare sempre più frequente con l’aumentare dell’età: una persona su tre, superati gli 80 anni, ne soffre. Per anni la comunità cardiologica si è impegnata nella ricerca di un nuovo anticoagulante che potesse superare le difficoltà d’impiego e di gestione dell’attuale terapia anticoagulante con dicumarolici”. Entro l’estate 2009 sarà in commercio anche in Italia rivaroxaban, una molecola di nuova concezione, a somministrazione orale, con l’indicazione nella prevenzione del tromboembolismo venoso (TEV) in chirurgia ortopedica protesica maggiore di anca e ginocchio. Rivaroxaban, con l’efficacia dimostrata nel ridurre il rischio tromboembolico nella trombosi venosa profonda, ha la potenzialità di rivoluzionare anche la terapia dei pazienti a rischio tromboembolico nella fibrillazione atriale. “Infatti il meccanismo alla base della formazione del trombo venoso – spiega Antonio Carolei, professore ordinario di Neurologia all’Università degli Studi dell’Aquila – è identico a quello che porta alla formazione del trombo arterioso. La nuova molecola potrà quindi garantire importanti vantaggi anche alle persone con fibrillazione atriale. Tale indicazione è attualmente in studio nel progetto ROCKET-AF”. Con rivaroxaban i pazienti colpiti da questo disturbo non dovranno più sottoporsi a controlli frequenti per “aggiustare la dose” e avranno a disposizione un anticoagulante orale efficace in dose fissa.

La fibrillazione atriale interessa alcuni milioni di italiani. E vi possono essere casi di persone che non sanno di essere malate, condizione che espone a maggiori rischi a causa della mancata assunzione dei farmaci utili a prevenire le complicanze. “Nella fibrillazione atriale – continua il prof. Ardissino – il cuore perde il normale sincronismo e gli atri non si contraggono più in maniera efficace. La conseguenza è la formazione, all’interno della camera cardiaca, di coaguli di sangue, che, partendo dall’atrio, possono formare emboli nel corpo o nel circolo cerebrale causando danni molto importanti: infarti intestinali, renali, gangrene agli arti inferiori, o molto più frequentemente ictus cerebrale. I due farmaci di cui attualmente disponiamo sono: l’aspirina, facile da assumere ma poco efficace e somministrabile solo nei pazienti con fibrillazione atriale a basso rischio, e l’anticoagulante orale tradizionale, il dicumarolo, che però è difficile da implementare, perché richiede monitoraggi continui e molta attenzione nella dieta e nelle modalità di assunzione da parte del paziente”. “Il paziente infatti – spiega il prof. Carolei – deve sottoporsi al controllo periodico dei valori dell’INR (International Normalized Ratio) che, misurando alcuni parametri ematici, indica se la posologia del trattamento è adeguata: i valori standard devono essere compresi tra 2 e 3. Se il livello è inferiore a 2 non si ha efficacia terapeutica e il paziente continua ad essere esposto al rischio di un evento ischemico. Se il livello è invece superiore a 3 il paziente, pur protetto dalla formazione di emboli in presenza di fibrillazione atriale, è comunque esposto ad un maggior rischio di emorragia cerebrale”. “Può capitare – conclude il prof. Carolei – che il medico preferisca non prescrivere la terapia anticoagulante a persone anziane che vivono sole e possono dimenticarsi di controllare l’INR e quindi di assumere la giusta dose. In questi casi il medico può prescrivere l’aspirina che però è meno efficace della terapia anticoagulante orale”.
Grande è l’attesa quindi per i risultati dello studio ROCKET-AF, in cui verranno valutati per la prevenzione dell’ictus oltre 14.000 pazienti in trattamento con rivaroxaban a confronto con la terapia anticoagulante tradizionale. Molti sono i centri italiani coinvolti, coordinati dal prof. Ardissino e dal prof. Carolei, referenti italiani di questo importante studio internazionale.
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