Anticorpo monocolonale radioattivo guidato sulle cellule cancerose ottiene la remissione completa nell’87% dei pazienti trattati e prolunga di 2 anni la sopravvivenza
9 dicembre 2007 – Atlanta, Georgia (Usa) – Una nuova ‘arma’ intelligente di seconda generazione è disponibile e funziona facendo regredire completamente la malattia in quasi 9 pazienti su 10 (nell’87%): è lo Zevalin, (90Y-ibritumomab tiuxetano), anticorpo monoclonale arricchito di ittrio-90, un radioisotopo che guida il farmaco solo sulle cellule neoplastiche risparmiando quelle sane. Agisce per ora contro uno dei tumori più aggressivi e subdoli, i linfomi non-Hodgkin di tipo follicolare che colpiscono intorno ai 60 anni e che per molto tempo restano silenti (indolenti) fino a disseminarsi e richiedere perciò una terapia rapida e molto efficace. Lo confermano i risultati dello studio FIT (First-line Indolent Trial) che sono stati presentati al 49° meeting dell’American Society of Hematology in corso ad Atlanta, Georgia, negli USA. Lo studio, su più di 400 pazienti in 77 centri di 12 Paesi europei e in Canada, ha verificato l’efficacia e la sicurezza del trattamento con Zevalin di pazienti con linfoma follicolari non-Hodgkin in stadio avanzato che avevano già ricevuto una risposta positiva dopo induzione chemioterapica: “Si è registrato – spiega il prof. Mario Petrini, direttore della Clinica Ematologia di Pisa e coordinatore italiano dello studio – che il 77% dei pazienti che dopo la chemioterapia avevano avuto solo una remissione parziale della malattia, hanno avuto una remissione completa, per un totale di 87% dei pazienti che hanno ottenuto tale remissione completa. Inoltre si è registrato un prolungamento del periodo libero da malattia di circa 2 anni”.
Dopo aver ricevuto l’induzione chemioterapica (a base di fluradabina, clorambucile, rituximab), i pazienti, d’età media di 54 anni, sono stati randomizzati a ricevere o una terapia a base di Zevalin (rappresentata da trattamento comprendente sia l’anticorpo monoclonale rituximab che lo Zevalin) o nessun trattamento. L’obiettivo primario dello studio era valutare il prolungamento del periodo libero da malattia, gli obiettivi secondari erano il cambio da remissione parziale a completa della malattia, la sicurezza della terapia e la qualità di vita dei pazienti. La media del follow-up è stata di quasi 3 anni: da una mediana di sopravvivenza libera da malattia di 13,5 mesi per il gruppo di controllo, si è passati a 37 mesi nel gruppo con Zevalin. Dopo il trattamento con Zevalin, i pazienti che hanno registrato una remissione completa della malattia erano l’87% e nel 77% dei pazienti che dopo la chemioterapia avevano avuto solo una remissione parziale del linfoma, questa si è trasformata in remissione completa. Il profilo di tossicità di Zevalin è risultato favorevole. “Significativi anche i risultati in termini di qualità di vita – sottolinea Petrini – un’unica somministrazione garantisce un’ottima compliance dei pazienti e dei loro familiari”.
Lo studio FIT, infine, ha visto l’Italia giocare da protagonista: “Siamo stati il secondo Paese al mondo come pazienti arruolati – conclude Petrini – con ben 11 centri coinvolti e la conferma di una grande collaborazione fra ematologi e medici nucleari”.