Verona, 18 gennaio 2019 – Solo 4 Regioni hanno stabilito la rimborsabilità dell’intero programma di prevenzione per i membri del nucleo familiare. La presidente Stefania Gori: “È una strategia efficace di riduzione del rischio: così le diagnosi diminuiranno del 40% in 10 anni”. Ogni anno in Italia sono 5.200 le donne colpite
Ogni anno, su 5.200 nuove diagnosi di tumore dell’ovaio in Italia, circa il 20% presenta carattere genetico-familiare legato alla mutazione BRCA. L’effettuazione del test alla diagnosi per identificare questa mutazione nelle pazienti affette da carcinoma ovarico diventa quindi urgente e fondamentale anche per individuare tempestivamente i familiari portatori di mutazione, prima che sviluppino la malattia. Le strategie di prevenzione di questa neoplasia in Italia sono però ancora a macchia di leopardo. Infatti solo quattro Regioni (Lombardia, Liguria, Emilia Romagna e Toscana) hanno approvato la rimborsabilità del test genetico (BRCA) e dell’eventuale percorso di prevenzione (controlli regolari ed eventuale asportazione dell’organo) per i familiari delle pazienti colpite da carcinoma dell’ovaio BRCA+, Si tratta di una vera e propria strategia di riduzione del rischio nei familiari sani, che potrebbe portare, in 10 anni, a una riduzione del 40% dell’incidenza della patologia. Un risultato di straordinaria importanza in una neoplasia per la quale non esistono metodiche di screening e di prevenzione semplici ed efficaci. Infatti l’80% dei casi di tumore dell’ovaio è diagnosticato in fase avanzata. Ma, nel nostro Paese, alcune Regioni prevedono la rimborsabilità del solo test, escludendo le fondamentali tappe successive. Oggi a Verona, nel convegno nazionale “Mutazione BRCA e carcinoma ovarico” organizzato da AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e Fondazione AIOM, vengono presentate le “Raccomandazioni per l’implementazione del test BRCA nelle pazienti con carcinoma ovarico e nei familiari a rischio neoplasia”, firmate da quattro società scientifiche: AIOM, SIGU (Società Italiana di Genetica Umana), SIBioC (Società Italiana di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica) e SIAPEC-IAP (Società Italiana di Anatomia Patologica e Citologia Diagnostica).“Circa il 20% dei tumori ovarici presenta una base di predisposizione ereditaria, di cui i geni BRCA1 e BRCA2 costituiscono la percentuale più rilevante – spiega Stefania Gori, Presidente nazionale AIOM e Direttore dipartimento oncologico, IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria-Negrar –. Una mutazione di BRCA1 e BRCA2, ereditata dalla madre o dal padre, determina una predisposizione a sviluppare questo tumore più frequentemente rispetto alla popolazione generale. E il rischio di trasmissione dai genitori ai figli/figlie delle mutazioni nei geni BRCA è del 50%. Nelle Raccomandazioni, chiediamo che tutte le Regioni rendano gratuito il test BRCA per i familiari sani delle pazienti in cui è stata individuata una variante dei geni BRCA1/2 e che, in caso di positività, venga loro offerto gratuitamente il programma di prevenzione, eventualmente con l’introduzione di un codice di esenzione per malattie genetiche ereditarie”.
“Ogni anno, in Italia, vengono diagnosticati circa 5.200 nuovi casi di carcinoma ovarico (più di 410 in Veneto). La sopravvivenza a 5 anni è bassa, pari al 39,5%, perché circa l’80% di queste forme tumorali è individuato in forma già avanzata (stadio III e IV) – afferma Fabrizio Nicolis, Presidente Fondazione AIOM -. Vogliamo sensibilizzare tutte le donne che abbiano ricevuto la diagnosi di carcinoma ovarico o che abbiano avuto in famiglia uno o più casi di questa neoplasia, sull’importanza di accedere al test per individuare eventuali mutazioni dei geni BRCA e di effettuare una consulenza oncogenetica. È importante quindi che il test BRCA sia offerto a tutte le donne con carcinoma ovarico sin dalla diagnosi. Il riscontro di mutazione BRCA nelle pazienti innesca poi un conseguente effetto ‘a cascata’ sulla famiglia e permette ai familiari l’accesso alla consulenza oncogenetica e al test preventivo finalizzato a verificare la presenza o meno della mutazione genetica”.
Innanzitutto, l’identificazione di una mutazione BRCA consente di pianificare nella paziente un percorso terapeutico adeguato. “Studi clinici hanno evidenziato che le donne portatrici di mutazione BRCA presentano una maggiore sensibilità a combinazioni di chemioterapia contenenti derivati del platino e a farmaci mirati che ‘sfruttano’ il difetto molecolare indotto dalla mutazione per potenziare l’efficacia delle cure – continua la presidente Gori -. Si tratta di molecole che fanno parte della classe dei PARP inibitori e sono indicate in pazienti che hanno risposto alla chemioterapia a base di platino. La terapia di mantenimento con PARP inibitori permette di prolungare l’intervallo libero da progressione della malattia e da successiva chemioterapia e rappresenta un’importante innovazione. In particolare, olaparib è il primo PARP-inibitore che, in prima linea, determina un vantaggio statisticamente e clinicamente significativo nel ridurre il rischio di recidive e morte del 70% nei casi di mutazione di BRCA”.
Il test genetico, a fini prognostici e predittivi di risposta alle terapie, viene eseguito su sangue o su tessuto tumorale ovarico. Può essere prescritto dal genetista, dall’oncologo e dal ginecologo con competenze oncologiche, che diventano responsabili anche di informare adeguatamente la paziente sugli aspetti genetici collegati ai risultati. Il test BRCA su sangue periferico (germinale) per la ricerca di varianti costituzionali (ereditabili) è eseguito in molti laboratori del nostro Paese attraverso metodologie ampiamente validate. Anche il test BRCA su tessuto tumorale (test somatico) è oggi effettuabile in numerose strutture ed è in grado di evidenziare sia le varianti acquisite per mutazione somatica sia quelle ereditabili. “Indipendentemente dal tipo di campione utilizzato (sangue o tessuto) – afferma Antonio Marchetti, consigliere nazionale SIAPEC-IAP e ordinario di anatomia patologica e Direttore del Centro di Medicina Molecolare Predittiva dell’Università di Chieti -, questo esame richiede standard qualitativi da rispettare ed esperienza di analisi ed interpretazione. È preferibile eseguire in prima istanza, se possibile, la ricerca delle mutazioni di BRCA1/2 su tessuto tumorale, perché il test BRCA su sangue periferico è in grado di evidenziare soltanto le varianti ereditarie. Pertanto, se il test su tessuto tumorale risulta positivo, deve essere poi eseguito anche su sangue periferico per verificare se si tratta di una variante ereditabile”.
“Secondo un recente studio che ha coinvolto una grande casistica seguita per diversi anni, le donne che ereditano la mutazione BRCA1 hanno una probabilità del 36-50% di sviluppare un tumore ovarico nel corso della vita – spiega Maurizio Genuardi, Presidente SIGU -. La percentuale è inferiore per il gene BRCA2 (11-25%). Anche gli uomini possono ereditare la mutazione genetica e, a loro volta, trasmetterla ai figli/figlie. Nel sesso maschile gli organi maggiormente a rischio sono la prostata, il pancreas e la mammella. La consulenza genetica nei familiari sani di pazienti con carcinoma ovarico BRCA mutate è un percorso a più fasi e avviene all’interno di un centro specializzato. Sono previsti incontri per una adeguata definizione del rischio, basati in particolare sulla valutazione dell’albero genealogico. Viene poi eseguito il test BRCA: la consulenza genetica conclusiva prevede la comunicazione del risultato dell’esame e la discussione relativa alla gestione dell’aumentato rischio di sviluppo di tumore ovarico in donne sane con mutazione accertata di BRCA, con eventuale supporto psicologico”.
Nonostante recentemente altri inibitori di PARP utilizzati come terapia di mantenimento abbiano evidenziato efficacia anche nelle forme ovariche non BRCA+, l’esecuzione del test BRCA nelle pazienti affette da carcinoma ovarico rimane fondamentale per il suo valore predittivo prognostico e preventivo sui componenti sani della famiglia.
Le strategie per gestire tale aumentato rischio nelle persone sane BRCA+, vanno dalla sorveglianza intensiva alla chirurgia profilattica. “Da un lato, nelle donne che desiderano avere figli – afferma la presidente Gori –, sono raccomandati un controllo semestrale del CA-125 (un marcatore tumorale) insieme all’ecografia ginecologica transvaginale. Dall’altro lato, l’asportazione chirurgica di tube ed ovaie (annessiectomia profilattica bilaterale) può prevenire la quasi totalità (95%) dei tumori ovarici su base genetico-ereditaria. La chirurgia profilattica è oggi consigliata nelle donne con mutazione genetica che hanno già avuto gravidanze o che siano in menopausa. Sono fondamentali la condivisione della scelta e il supporto psicologico, soprattutto nelle donne ancora in età fertile”. Nell’assumere queste decisioni, va quindi considerata l’età della donna, il tipo di mutazione e la pianificazione di eventuali gravidanze. Le linee guida suggeriscono di procedere alla annessiectomia bilaterale tra i 35 e i 40 anni per le donne portatrici di mutazione BRCA1 e tra i 40 e i 45 anni nei casi di mutazione BRCA2, una volta esaudito il desiderio di maternità. “L’asportazione chirurgica di tube ed ovaie rende poi impossibile la gravidanza, a meno che non si sia provveduto in anticipo al congelamento di ovociti – conclude la presidente Gori -. Sarebbe quindi auspicabile, per tutte le donne portatrici di mutazione BRCA, un approfondito counselling riproduttivo, già a partire dai 30 anni. Una gravidanza e allattamento prima dell’eventuale chirurgia profilattica non aumentano il rischio di tumore nelle persone sane con la mutazione genetica, anzi lo riducono”.