Tumore della vescica muscolo-invasivo: il regime perioperatorio con durvalumab ha ridotto del 32% il rischio di recidiva e del 25% il rischio di morte
Questi risultati sono stati presentati oggi durante il Simposio Presidenziale del Congresso 2024 della European Society for Medical Oncology (ESMO) a Barcellona, Spagna, e contemporaneamente pubblicati nel The New England Journal of Medicine.
A un’analisi ad interim predefinita, i pazienti trattati con il regime perioperatorio con durvalumab mostrano una riduzione del 32% del rischio di progressione di malattia, di recidiva, di non completare la chirurgia prevista o di morte rispetto al braccio di confronto (rapporto di rischio [HR] 0,68; intervallo di confidenza [CI] 95% 0,56-0,82; p<0,0001). La EFS media stimata non è stata raggiunta nel braccio durvalumab rispetto a 46,1 mesi nel braccio di confronto. Si stima che il 67,8% dei pazienti trattati con il regime durvalumab fosse libero da eventi a due anni, rispetto al 59,8% del braccio di confronto.
I risultati dell’endpoint secondario di OS mostrano che il regime perioperatorio con durvalumab ha ridotto il rischio di morte del 25% rispetto alla chemioterapia neoadiuvante pre cistectomia radicale (HR 0,75; CI 95% 0,59-0,93; p=0,0106). La sopravvivenza mediana non è stata raggiunta in entrambi i bracci. L’82,2% dei pazienti trattati con il regime durvalumab è vivo a due anni rispetto al 75,2% del braccio di confronto.
“Lo studio NIAGARA dimostra che l’aggiunta dell’immunoterapia con durvalumab, prima e dopo la chirurgia, può rappresentare una strategia innovativa, in grado di cambiare la pratica clinica per i pazienti con tumore uroteliale della vescica infiltrante operabile – afferma Lorenzo Antonuzzo, Direttore della Struttura Complessa di Oncologia Clinica all’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica Università di Firenze -. Questo regime immunoterapico permette di migliorare in modo significativo i due endpoint principali dello studio, cioè la sopravvivenza libera da eventi e la sopravvivenza globale. Il dato sulla sopravvivenza globale è particolarmente rilevante in una popolazione di pazienti complessa da trattare, come quella colpita dal tumore uroteliale della vescica infiltrante. Pur trattandosi di una neoplasia localizzata a livello della vescica, è più aggressiva rispetto a quella non infiltrante e può estendersi localmente fino a invadere gli strati muscolari e l’intera parete vescicale”.
“Nello studio NIAGARA, che ha coinvolto circa 1000 pazienti, sono stati utilizzati il trattamento neo-adiuvante, cioè perioperatorio, costituito dalla chemioimmunoterapia e durvalumab in monoterapia dopo l’intervento chirurgico – continua il Prof. Antonuzzo -. Il braccio di confronto è costituito dalla chemioterapia neoadiuvante. NIAGARA è il primo studio registrativo in cui un regime immunoterapico, prima e dopo l’intervento chirurgico, prolunga la sopravvivenza in questa patologia”.
“Il trattamento standard, per circa 20 anni, è stato costituito dalla chemioterapia neoadiuvante seguita dalla chirurgia, ma la metà dei pazienti va incontro a recidiva o progressione di malattia, per cui resta un bisogno clinico ancora insoddisfatto – sottolinea Massimo Di Maio, Presidente eletto AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) -. Inoltre, in Italia, il trattamento delle forme infiltranti operabili è variegato, perché vi sono pazienti che vengono trattati direttamente con la chirurgia. Gli importanti risultati dello studio NIAGARA possono costituire uno stimolo all’utilizzo della terapia neoadiuvante in tutti i pazienti. Va anche sottolineato che il regime chemioimmunoterapico è ben tollerato e sicuro”.
“Nella gestione della malattia e per garantire il miglior percorso terapeutico, è fondamentale il team multidisciplinare, che deve comprendere, tra gli altri, il radiologo, il chirurgo, l’oncologo, l’urologo e l’anatomo patologo – conclude Massimo Di Maio -. Il tumore della vescica è uno dei più frequenti, nel 2023 in Italia sono stati stimati 29.700 nuovi casi. È una neoplasia subdola, perché nelle fasi iniziali può essere del tutto asintomatica. I primi segni d’allarme sono sintomi urinari, ad esempio difficoltà a urinare e minzioni frequenti, e la presenza di ematuria, cioè sangue nelle urine. Il principale fattore di rischio è il fumo di sigaretta, a cui si aggiunge l’esposizione professionale a determinate sostanze cancerogene, come ammine aromatiche e nitrosamine”.