L’uso di docetaxel in adiuvante ha dimostrato risultati particolarmente interessanti per un tumore che rappresenta la prima causa di morte nelle donne fra i 35 e i 44 anni
Atlanta, 3 giugno 2006 – Riduzione del rischio di recidiva a 5 anni del 30% rispetto alla terapia convenzionale nelle donne operate di carcinoma alla mammella ad alto rischio dopo l’intervento chirurgico: sono i risultati del progetto taxit-216, uno studio multicentrico tutto “made in Italy”, che ha arruolato 972 donne con carcinoma mammario con metastasi ai linfonodi ascellari in trenta centri della penisola. Lo studio è stato coordinato dal Dipartimento di Endocrinologia e Oncologia Molecolare Clinica dell’Università Federico II di Napoli diretto dal prof. Angelo Raffaele Bianco e dall’Istituto Regina Elena di Roma diretto dal prof. Francesco Cognetti. Uno studio che si è aggiudicato la più importante vetrina mondiale dell’oncologia: la comunicazione orale all’ASCO, il congresso della società americana di oncologia clinica che riunisce ad Atlanta oltre 20.000 esperti dal 1 al 6 giugno. E’ il prof. Raffaele Bianco che presenta questi risultati, ritenuti da un comitato di esperti oncologi americani “particolarmente rilevanti” e perciò meritevoli di essere comunicati. “Contro una malattia, il tumore del seno che nei Paesi industrializzati – spiega il prof. Bianco – è, per incidenza e mortalità, al primo posto tra i tumori maligni della popolazione femminile. Secondo l’ultimo rapporto dell’International Agency for Research on Cancer, i nuovi casi di tumore al seno registrati nel mondo nel 2002 sono stati 1.151.298 con 410.712 decessi. In Italia si registrano ogni anno 36.634 nuove diagnosi e 11.345 morti. Nel nostro Paese 7 donne su 100 manifestano clinicamente un carcinoma mammario durante il corso di una vita normale ovvero entro gli ottanta anni di età. Questa malattia è la prima causa di morte nella fascia d’età tra i 35 e i 44 anni, e la seconda per le donne oltre i 55 anni, seguita dalle malattie cardiovascolari. Tuttavia, in questo scenario non certo rassicurante, negli ultimi 20 anni, a fronte di un aumento dell’incidenza di questa malattia di circa 50%, abbiamo osservato, per la prima volta nella storia della epidemiologia una riduzione della mortalità di circa il 25% rispetto gli anni precedenti. Ciò è stato messo in relazione in buona parte agli effetti della diffusione della terapia adiuvante”.Tutti numeri che indicano come ogni progresso della terapia rappresenta una grande speranza per migliaia e migliaia di donne. “Con grande soddisfazione possiamo dire che il taxit-216 rappresenta – aggiunge il prof. Francesco Cognetti – una pietra miliare nella lotta alla malattia”. E’ dimostrato che il “Docetaxel” è fra le molecole più attive per il trattamento del tumore della mammella metastatico; il farmaco ha mostrato recentemente la sua efficacia anche nella terapia adiuvante”. “L’obiettivo del nostro studio – sottolinea il prof. Bianco – è stato quello di verificare se una chemioterapia adiuvante con Docetaxel, usato in sequenza con altri farmaci attivi, potesse ottenere un miglioramento dell’aspettativa di vita rispetto al trattamento convenzionale. Nel taxit-216 il docetaxel è stato somministrato dopo l’epirubicina e prima del CMF (ciclofosfamide-metotrexato-fluorouracile), mentre è stato tralasciato nel gruppo di controllo”. Il vantaggio della sequenza nella somministrazione dei farmaci antitumorali è quello di poter somministrare dose più elevate degli stessi farmaci senza peggiorare gli effetti collaterali. “Grazie a questa nuova modalità di somministrazione e con l’impiego del Docetaxel, siamo riusciti a ridurre significativamente – continua il prof. Angelo Raffaele Bianco – il rischio di ricadute della malattia”.
L’efficacia della terapia sequenziale adiuvante, utilizzante il docetaxel, è stata valutata mediante l’uso di un programma utilizzante un algoritmo e comprendente fattori bilancianti, quali coinvolgimento metastatico dei linfonodo, stato dei recettori ormonali e menopausa.
“Riteniamo si tratti di un momento gratificante per tutta l’oncologia italiana – concludono Bianco e Cognetti – Non capita molto spesso che uno studio tutto italiano venga presentato in sessione orale all’ASCO e susciti un interesse così forte e condiviso”.