Presentati oggi in città i dati del Progetto Artemide sulla percezione della malattia
Napoli, 30 gennaio 2003 – Per 4 donne su 10 rimane una delle patologie che fa più paura, causa di infelicità (14,4%), isolamento (9,6%) menomazioni fisiche e psichiche (9,6%). Ma è al momento della diagnosi che il tumore del seno ha un impatto devastante. Malgrado la consapevolezza dei progressi dell’oncologia medica e l’alta percentuale di guarigioni (80-90%), l’83% delle pazienti afferma di aver provato “angoscia profonda” alle parole del medico e una su due descrive l’avvento del cancro nella propria esistenza come “il mondo che improvvisamente ti crolla addosso”. Sono questi alcuni dei ‘macrodati’ che emergono dal Rapporto Artemide, una ricerca sociologica che ha voluto verificare la percezione delle donne e degli oncologi riguardo a questa neoplasia, in particolare rispetto alla prevenzione e alla qualità della vita. L’indagine – coordinata dal prof. Giuseppe Colucci, direttore dell’Istituto Nazionale Tumori di Bari, in collaborazione con le associazioni di pazienti ‘Attivecomeprima’ e ‘Komen Italia’, e che ha visto coinvolto un campione di 800 persone (donne sane, malate e oncologi) di tutta la Penisola, Campania compresa – è stata presentata oggi a Napoli, durante un convegno nazionale sulle antracicline, presieduto dal prof. Rosario Vincenzo Iaffaioli, direttore della Divisione di Oncologia Medica B del Pascale.In tutti i Paesi Occidentali il tumore alla mammella rappresenta la prima causa di morte femminile nella fascia d’età tra i 35 e i 55 anni. L’Italia presenta uno dei più alti livelli di incidenza: sono 32.000 i nuovi casi di tumore alla mammella ogni anno, che portano a circa 12 mila decessi, pari al 18% di tutte le morti per tumore nelle donne italiane. I programmi di screening permettono oggi una diagnosi migliore, che nel 30% dei casi riduce il rischio di morte. Per questo motivo, negli ultimi venti anni si è data particolare importanza alla possibilità di controllare la mortalità per carcinoma mammario tramite un intervento sistematico di prevenzione. “Oggi – spiega il prof. Iaffaioli – le donne affrontano l’esperienza di un tumore con un atteggiamento diverso: sono consapevoli dei risultati ottenuti dalla ricerca, conoscono l’importanza della prevenzione e della diagnosi precoce, ma la strada da percorrere è ancora lunga e tanti sono gli obiettivi da raggiungere per poter migliorare la qualità di vita delle pazienti, in particolare al Sud”. L’analisi scorporata dei dati di Artemide (supportata da Elan Pharma) ha infatti permesso di evidenziare alcune peculiarità del Meridione d’Italia. “Prima fra tutte – afferma Iaffaioli – che il 30,8% delle donne sane e il 64,1% delle pazienti afferma di non fare alcuna prevenzione. L’80% dell’intero campione confessa addirittura di non eseguire mai l’autopalpazione e, fatto ancora più grave, solo il 7% delle pazienti si sottopone alla mammografia dopo aver riscontrato un nodulo sospetto durante l’autoesame. Il 30% delle signore meridionali è infatti convinta che lo screening mammografico non sia necessario, anche se, nel caso della mammografia, il 24,7% delle pazienti dichiara di non essersi sottoposta al test a causa della lontananza delle strutture”.
Un’altra curiosità che emerge al Sud è relativa alle fonti di informazione. I mass media – televisioni (30,7%) e riviste (13,1) – risultano in testa a questa classifica, staccando di quasi 10 punti percentuali (33,3%) i medici. Rilevante, con il 12,4%, il peso invece delle Associazioni di volontariato. Quest’ultimo risultato, se da un lato preoccupa perché evidenzia la mancanza di dialogo tra donne e medici, dialogo che gli esperti considerano “imprescindibile per una buona prevenzione” e che va “assolutamente recuperato”, dall’altro mette in luce una potenzialità che va sfruttata al meglio. “Il ruolo preminente della stampa – sottolinea infatti il prof. Colucci – dovrebbe rappresentare uno stimolo ad una maggior responsabilizzazione per i giornalisti, sia della TV che dei giornali, chiamati a diffondere notizie vere e verificate, evitando di creare false aspettative o illusioni”.
Ma durante i lavori si è parlato anche di terapia e in particolare di antracicline, tra i farmaci più attivi nel carcinoma della mammella, il cui impiego era però finora limitato dagli effetti collaterali, soprattutto dovuti alla cardiotossicità, “la cui forma più grave – spiega il direttore della Divisione di Oncologia del Pascale – consiste in una cardiomiopatia cumulativa con disfunzione ventricolare sinistra, che può condurre a scompenso cardiaco congestizio, potenzialmente fatale”. Le novità in questo settore sono rappresentate dallo sviluppo di formulazioni liposomiali. “Queste formulazioni – prosegue il prof. Colucci – includono la daunorubicina liposomiale, la doxorubicina liposomiale e la doxorubicina liposomiale pegilata, che hanno il vantaggio di presentare profili di efficacia paragonabili a quelli delle antracicline convenzionali, ma con una migliore efficacia e minore cardiotossicità”.