mercoledì, 4 dicembre 2024
Medinews
22 Febbraio 2008

TUMORE DEL CERVELLO, DOPPIA LA PERCENTUALE DI SOPRAVVIVENZA NELLE DONNE

Uno studio condotto dalla dott.ssa Alba Brandes mostra che il sesso femminile ha maggiori possibilità, a parità di malattia, di vivere più a lungo dopo le cure

Bologna, 22 febbraio 2008 – Nella lotta al più aggressivo fra i tumori cerebrali, il glioblastoma, sono stati fatti enormi passi avanti negli ultimissimi anni, grazie alle nuove conoscenze di genetica molecolare farmacologie e neuroradiologia. Ed un netto vantaggio è emerso per le donne affette da questa patologia, che sopravvivono per il 57% a due anni, contro il 35% dei maschi. I dati derivano da uno studio condotto su più di 100 pazienti, (il 34% donne) dalla dr. ssa Alba Brandes, direttore dell’U.O. Complessa di Oncologia dell’Ospedale Bellaria – Maggiore di Bologna – e vengono presentati oggi in occasione del quarto congresso mondiale sui tumori del cervello, ospitato per la prima volta nel capoluogo emiliano, presieduto dalla dr.ssa Brandes. “La predisposizione del sesso femminile a vivere più a lungo dopo le cure, ipotizzata in precedenti osservazioni all’università di Houston, è ormai certa – afferma la dott.ssa Brandes, presidente del congresso – il campione esaminato ha mostrato il passaggio da una sopravvivenza media di 12 mesi (il miglior risultato ottenibile sino a circa 3 anni fa) a 17.8 mesi negli uomini e a 26.3 mesi nelle donne. Il nostro studio è stato condotto con la somministrazione di un chemioterapico per via orale, la temozolomide, in associazione alla radioterapia, e successivamente il solo farmaco in cicli mensili di terapia. Tra i due sessi le caratteristiche cliniche e genetiche della neoplasia erano del tutto simili, ma si sono riscontrate notevoli diversità nella risposta alla terapia, sia per l’intervallo di tempo mediano tra il primo intervento chirurgico e la ricrescita della malattia (3,7 mesi), che nella sopravvivenza, con ben 8,5 mesi di differenza”.
“Il motivo della differente risposta alla terapia nei due sessi non è ancora noto, forse è legato al cromosoma XX, ma il risultato globale è straordinario: è l’anno zero per chi si occupa di questa patologia, abbiamo la necessità di rivedere completamente i criteri di prognosi – afferma la dr. Alba Brandes – e di studiare i meccanismi genetici alla base di questa predisposizione per poter conoscere meglio come colpire la malattia senza danneggiare l’individuo”.
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