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Medinews
21 Marzo 2006

TUMORE COLON: MICROSFERE RADIOATTIVE CONTRO LE FORME PIÙ AVANZATE

È appena partito uno studio multicentrico coordinato dall’IRE che offre una speranza in più a pazienti con metastasi epatiche non operabili e già trattati con terapie standard

Roma, 21 luglio 2005 – Microsfere millimetriche che, come navicelle spaziali in miniatura, scaricano “bombe radioattive” direttamente nelle arterie epatiche. Si tratta della innovativa radioterapia selettiva interna che esercita la sua azione tossica solo nella zona interessata dal tumore, senza intaccare i tessuti e gli organi circostanti. La rivoluzionaria novità è in sperimentazione all’Istituto Nazionale dei Tumori Regina Elena di Roma. La tecnica verrà eseguita su 40 pazienti con tumore del colon retto avanzato e metastasi epatiche non resecabili e già trattate con linee chemioterapiche tradizionali. I candidati verranno arruolati nell’istituto romano e in altri 4 centri a Napoli, Bologna, Udine e Massa Carrara. I primi risultati saranno disponibili a dicembre. “L’effetto atteso – commenta il prof Maurizio Cosimelli, chirurgo oncologo del Regina Elena e coordinatore dello studio – è intuitivo: una tossicità significativamente minore rispetto al trattamento tradizionale e la speranza di ridurre la massa tumorale fino a renderla operabile, migliorando sensibilmente la prognosi”. La tecnica ha già dato risultati entusiasmanti sui alcuni pazienti e offre concrete speranze a tutti quelli che, esaurite tutte le opzioni terapeutiche disponibili, non possono oggi ostacolare in alcun modo il progredire della malattia. Una nuova frontiera quindi, ancora tutta da esplorare.

Il tumore del colon retto costituisce la quarta neoplasia più diffusa nel mondo con più di 1 milione di nuovi casi ogni anno, ed è la seconda causa di decesso oncologico. In Italia si registrano oltre 37.000 nuovi casi all’anno. Nel 35% dei casi il carcinoma viene diagnosticato già in fase metastatica di malattia. Molto spesso le metastasi colpiscono proprio il fegato. In questi casi le uniche opzioni terapeutiche sono la resezione delle metastasi e la chemioterapia con l’obiettivo di ridurre la massa tumorale e controllare così la malattia. Non sempre ciò è possibile. Per dare una speranza in più a questi pazienti si è sperimentata la radioterapia selettiva intraepatica, con l’obiettivo di scongiurare il rischio di tossicità associato alla radioterapia esterna, non dimostratasi peraltro efficace negli anni passati in questo tipo di neoplasia. A muoversi in questa direzione per primi sono stati gli Stati Uniti, seguiti in Europa da Belgio e Spagna. In particolare sono stati condotti studi di fase II sul trattamento di pazienti con tumore del colonretto avanzato con radioterapia selettiva e chemioterapia standard. I risultati di questi studi, davvero promettenti, sono stati presentati all’ultimo congresso ASCO. L’Italia ha voluto fare un passo in più e verificare la validità della tecnica non in associazione. “Il nostro – sottolinea Cosimelli – è il primo studio rigoroso e multicentrico che punta a verificare l’assenza di tossicità rilevante (quindi superiore al 5%) associata a questa radioterapia nonché l’efficacia dello stesso trattamento. I risultati ottenuti con i primi pazienti sono più che promettenti e ci fanno ben sperare. È il caso comunque di non gridare vittoria prima di aver ottenuto risultati più concreti, attesi per dicembre”.
Lo studio coordinato dal Regina Elena conferma l’eccellenza dell’Istituto romano, da anni all’avanguardia nella sperimentazione clinica. “La radioterapia selettiva interna – precisa Cosimelli – è altamente innovativa anche per l’approccio multidisciplinare adottato. Per eseguire perfettamente il trattamento sono necessari infatti, oltre al chirurgo, l’oncologo che seleziona i pazienti, l’angioradiologo che esegue l’arterografia, e il medico nucleare. A quest’ultimo spetta non solo la scelta della dose di materiale radioattivo da iniettare nel paziente, ma anche la verifica dell’eleggibilità del paziente al trattamento. È fondamentale infatti verificare che il materiale radioattivo non si diffonda in altre parti del corpo. Per esserne certi viene eseguita prima del trattamento vero e proprio una scintigrafia che permette di evidenziare le zone di accumulo del tracciante al di fuori del fegato. Se la quantità non supera il 5%, il paziente può essere trattato”.
I controlli e il trattamento richiedono un minimo impegno da parte del paziente. “Un giorno per verificarne l’eleggibilità – precisa Cosimelli – e una notte di ricovero precauzionale dopo il trattamento”.
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