Fino al 25 marzo a Nizza seimila esperti al quinto Congresso Europeo sul Breast Cancer
Nizza, 22 marzo 2006 – In Italia una donna su quattro in cura per un carcinoma mammario fa ricorso anche a terapie complementari, in particolare omeopatia, fitoterapia e agopuntura, per alleviare gli effetti collaterali della chemio. In Europa la percentuale è ancora maggiore – una su tre – e addirittura una su due secondo uno studio dell’Università di Manchester, condotto su 282 pazienti di 9 Paesi dell’Unione Europea, Italia compresa, di cui si parlerà nel corso della V Conferenza europea sul tumore della mammella, in corso a Nizza fino al 25 marzo. “Negli ultimi anni – afferma il prof. Pierfranco Conte, direttore del dipartimento di Oncologia ed Ematologia, Università di Modena e Reggio Emilia – abbiamo assistito ad una crescita e ad una diffusione di pratiche che vanno ad affiancarsi alla medicina tradizionale: non solo prodotti erboristici, ma anche massaggi, tecniche di rilassamento, ipnosi, yoga. Personalmente credo che la ricerca del benessere sia un diritto del paziente: l’importante è però non affidarsi al ‘fai da te’ indiscriminato, ma è indispensabile parlarne con il proprio oncologo, soprattutto quando si intende assumere un qualsiasi preparato. Spesso si ritiene che un prodotto non chimico faccia bene a prescindere. Al contrario le sostanze di origine vegetale possono essere tossiche, causare gravi interazioni con farmaci di sintesi o reazioni allergiche”. “Prendiamo ad esempio l’aloe – aggiunge il prof. Francesco Cognetti, direttore scientifico dell’Istituto Regina Elena di Roma – di cui ultimamente si parla per presunte proprietà antitumorali: alcune sostanze presenti nella pianta riducono l’efficacia della chemioterapia”. Chemioterapia che rimane invece una delle armi più importanti in mano ai medici, come dimostrano gli ultimi dati di due grandi studi clinici denominati BCIRG001 e BCIRG006, che vengono discussi al congresso di Nizza.“Il primo – spiega Cognetti – ha dimostrato il vantaggio di una terapia adiuvante a base di docetaxel, doxorubicina e ciclofosfamide (gruppo TAC) rispetto alla cura standard con doxorubicina, fluorouracile e ciclofosfamide (gruppo FAC). Lo studio, condotto su 1491 pazienti con tumore della mammella linfonodo positivo operabile e di età compresa tra 18 e 70 anni, ha evidenziato che dopo 55 mesi le donne del gruppo TAC presentavano un ridotto rischio di recidiva (25% contro 32% rispettivamente); mentre la sopravvivenza globale è passata dall’81 all’87%, con una riduzione del 6% di morte”. Un dato oltremodo importante: se lo si riporta sui grandi numeri significa infatti salvare 5000 vite all’anno in più nel Vecchio Continente e 1000 in Italia. Il tumore della mammella resta infatti il nemico numero uno delle donne. Secondo le ultime stime dell’International Agency for Research on Cancer (IARC) di Lione, il più autorevole osservatorio sui tumori, i nuovi casi di tumore mammario registrati nel Mondo nel 2002 sono stati 1.151.298. L’Italia con 36.634 persone colpite è al quarto posto in Europa, dopo Germania (55.689), Francia (41957) e Inghilterra (40.928 nuovi casi). Sempre dai dati IARC, sempre nel 2002 sono stati complessivamente registrati nel mondo più 410.712 decessi. In Italia sono morte 11.345 donne contro le 17.994 della Germania, le 13.3003 dell’Inghilterra e le 11643 della Francia.
Il secondo lavoro scientifico ha invece fornito nuove indicazioni per quanto riguarda la prevenzione della recidiva. “Lo studio BCIRG 006, in cui sono state arruolate 3.171 pazienti con tumore mammario positivo per HER-2 – continua il prof. Cognetti – ha dimostrato che l’associazione tra trastuzumab, docetaxel e carboplatino nel carcinoma mammario con linfonodi ascellari metastatici, quindi ad alto rischio di ricaduta, somministrata in fase adiuvante riduce del 51% il rischio di recidiva ed è meno tossica della combinazione con antracicline: – 50% di tossicità cardiaca”.
“Con le malattie oncologiche – conclude il prof. Conte – non si può scherzare. In ogni caso se la neoplasia operata è di dimensioni inferiori a 1 centimetro di diametro e i linfonodi sono negativi, cioè senza la presenza di cellule cancerogene, ed i recettori ormonali positivi, la percentuale di guarigione oggi può raggiungere il 90%. Per ottenere queste risultati è però indispensabile una diagnosi precoce e l’utilizzo di terapie adeguate al singolo caso, a prescindere dall’innovatività della molecola. L’assunzione di tisane può avere un effetto benefico di tipo salutistico, ma mai terapeutico. E anche la contemporaneità con la chemioterapia, spesso, è da valutare con il proprio medico”.