Sono i loop recorder, dispositivi impiantabili che consentono una diagnosi certa. L’Italia, prima in Europa, ha emesso le linee guida per riconoscere questa malattia
Roma, 5 dicembre 2006 – Un’improvvisa perdita di coscienza, talvolta preceduta da sintomi “ingannevoli”: gli occhi ruotano, il viso impallidisce, le mandibole si stringono, il corpo si irrigidisce con spasmi delle braccia e della gambe. Poi la sincope: il corpo si rilassa e la persona perde conoscenza; passati due o tre minuti, il paziente generalmente si riprende. La sincope, secondo gli esperti, è uno svenimento che si manifesta almeno una volta nella vita del 50% degli italiani. Le cause non diagnosticate rappresentano il 34% e quelle ‘neuromediate’, le più benigne, sono il 35%. Più serie per il rischio di morte improvvisa sono invece quelle legate a malattie cardiache e ad aritmie, che rappresentano quasi il 20% delle cause di sincope. Spesso è confusa con l’epilessia, che colpisce l’1% della popolazione e ha sintomi simili. Gli errori diagnostici potrebbero essere intorno al 25-30% negli adulti e del 40% nei bambini, con conseguenze gravissime. Per questo in Italia società scientifiche e ricercatori si sono impegnati al fine di riconoscere e trattare la sincope, emanando le linee guida italiane, prime in Europa. Sono state così messe a punto in un centinaio di strutture della penisola, le “Sincope Unit”, che garantiscono un percorso diagnostico condiviso e multi-disciplinare; le più avanzate sono dotate di “loop recorder”, dispositivi di ultima generazione, vere e proprie ‘scatole nere’ per il monitoraggio del ritmo cardiaco.
“La maggior parte delle sincopi – spiega il prof Michele Brignole, Presidente dell’Associazione Italiana di Aritmologia e Cardiostimolazione (AIAC) e responsabile dell’Unità di Cardiologia dell’Ospedale del Tigullio di Lavagna – è di origine vasovagale, cioè benigna e senza necessità di trattamento. Il primo problema quindi è riconoscere i casi di origine cardiaca, che hanno un elevato rischio di morte improvvisa e richiedono specifiche terapie. La percentuale di questi individui è esigua, circa il 10% del totale”. Essenziale è la ‘valutazione iniziale’, a cui vanno sottoposti tutti i pazienti colpiti da questi episodi: è un esame obiettivo basato sull’elettrocardiogramma e sulla misurazione della pressione arteriosa. “Il secondo punto fondamentale – continua il prof Brignole -, emerso negli ultimi anni, è rappresentato dalla necessità di documentare in maniera obiettiva un episodio sincopale, attraverso il Tilt test (esame per valutare la risposta pressoria al cambiamento di posizione, di esito spesso non certo) e il loop recorder (dispositivo impiantabile per il monitoraggio prolungato dell’ECG). Solo la misurazione dei parametri vitali (battito cardiaco e pressione arteriosa) contestualmente al manifestarsi della patologia può infatti aumentare la sicurezza diagnostica”. La vera sfida del clinico è dunque individuare le forme sincopali di origine cardiaca, in cui le improvvise perdite di coscienza devono essere lette come segni prognostici negativi, in grado anche di portare a morte improvvisa.
“Il complesso delle indagini diagnostiche – afferma il prof Massimo Santini, Past President dell’AIAC e Direttore del Dipartimento Cardiovascolare del San Filippo Neri di Roma – deve essere affidato ad esperti del settore. Al San Filippo Neri, abbiamo già da tempo istituito una task force, chiamata “Sincope Unit”, in cui convergono vari professionisti (cardiologi, neurologi, internisti ecc.) che possono osservare il paziente e riconoscere la specifica patologia per applicare la terapia più indicata. Si è visto che, se il paziente viene affidato semplicemente al medico del pronto soccorso o al singolo cardiologo, molto spesso questo itinerario diagnostico non viene eseguito. Quindi, per ottenere il miglior ‘inquadramento’ della malattia, è indispensabile concentrare professionisti di branche diverse della medicina all’interno dell’ospedale anche nella forma di struttura funzionale complessa”. La sincope rappresenta l’1% degli accessi al pronto soccorso e circa la metà di questi pazienti viene ricoverata. Se nel passato non esistevano protocolli da seguire, oggi, grazie all’attività dell’AIAC, sono disponibili le linee guida italiane, le prime in Europa, che delineano un percorso diagnostico terapeutico uniforme per tutta la penisola. E, per capire quanti pazienti con sincope arrivano negli ospedali e come vengono trattati, è stato condotto lo Studio regionale OESIL (Osservatorio Epidemiologico per la SIncope nel Lazio). “Grazie a questo studio – spiega il prof. Fabrizio Ammirati, primario del reparto di cardiologia dell’Ospedale G. B. Grassi di Ostia – è stato possibile, con semplici criteri applicabili al pronto soccorso, identificare i pazienti a rischio da studiare con più attenzione. Viceversa i pazienti che non hanno alto punteggio di rischio OESIL possono evitare il ricovero”. All’inizio di questo studio, oltre il 40-60% dei pazienti non riceveva una diagnosi corretta, perché la causa della sincope non veniva individuata. In seguito si è riusciti ad ottenere una maggiore percentuale di diagnosi di sincope. Anche l’avanzamento della tecnologia ha permesso di raggiungere livelli di certezza nella diagnosi un tempo inimmaginabili. “La vera novità è costituita dai ‘loop recorder’ impiantabili – conclude il prof Ammirati – gold standard per la diagnosi della sincope cardiaca perché monitorizza l’ECG in continuo. Se l’episodio sincopale è indotto da un’alterazione del ritmo cardiaco, il dispositivo, automaticamente o attivato dal paziente, registra l’ECG durante l’evento. Grazie al ‘loop recorder’, le persone con alterazione del ritmo alla base della sincope possono evitare numerosi e inutili accertamenti per poter ottenere una diagnosi certa”.