Presentato oggi al Circolo della Stampa. Anche i cittadini potranno sottoscriverlo
Milano, 26 maggio 2005 – Dal 1995 al 2003 la spesa sanitaria complessiva è cresciuta del 67,99%, passando da 48.136 a 80.864 milioni di euro e confermando una dinamica evolutiva, come del resto in tutti gli altri 30 Paesi dell’OCSE, superiore a quella del costo della vita. Se si prende in esame il ventennio precedente, gli anni che vanno dal 1980 al 1998, l’incremento era stato addirittura del 570%: dai 20.000 miliardi di lire dell’80 si era arrivati ai 150.000, con un incidenza sul PIL del 5,4%. La voce più onerosa riguarda gli ospedali, che assorbono il 52,35% della spesa, un altro 29% è appannaggio di altre prestazioni sanitarie, mentre i farmaci incidono solo del 12%. Cifre da capogiro, non certamente in linea con lo sviluppo economico, che pongono il mondo della sanità di fronte ad una sfida: coniugare l’universalismo delle prestazioni sanitarie – grande conquista di civiltà, oggi difficilmente emendabile – con la sostenibilità finanziaria. Una possibile via d’uscita la indica il “Manifesto per il governo delle risorse in sanità”, condiviso per ora da 19 professionisti, in rappresentanza del mondo scientifico, accademico, delle istituzioni, dell’industria, dell’associazionismo e del giornalismo, coinvolti in questa ‘impresa’ dal prof. Alberto Scanni, direttore dell’Oncologia medica del Fatebenefratelli di Milano. Il Manifesto, presentato questa mattina al Circolo della Stampa di Milano in un convegno dal titolo “Verso un’etica delle risorse in sanità”, propone 5 punti di intervento – redistribuzione delle risorse; appropriatezza dei servizi erogati; fare sistema e gioco di squadra; partnership tra strutture sanitarie e industria; informazione corretta e completa – il cui sviluppo e attuazione, come spiega Scanni, “potrebbe consentire di trovare modelli di coesistenza tra i vincoli economici e le necessità delle persone malate, in nome di un bene comune”. Novità assoluta: i cittadini non solo potranno controllare l’esatta applicazione di questa sorta di linee guida, ma potranno esserne protagonisti firmando la loro adesione sul sito www.eticainsanita.it.
Fino alla fine degli anni Settanta, la sanità era una voce di spesa marginale per ragioni facilmente comprensibili, legate cioè al limitato avanzamento delle conoscenze in campo tecnico scientifico. Il progresso che si è registrato negli ultimi decenni, l’allungamento della vita media e la crescita dei bisogni di salute, hanno letteralmente fatto esplodere i budget, mandando in crisi un sistema abituato a garantire gratuitamente le prestazioni a tutti, ed ora di fronte al dilemma se tagliare o ridimensionare il numero dei servizi erogati. “Queste riflessioni – prosegue il prof. Scanni – hanno trovato terreno fertile soprattutto nel settore oncologico, dove lo sviluppo di molecole ‘target’, ha portato a risultati inimmaginabili fino a 20 anni fa, ma ha aumentato esponenzialmente i costi”. Come uscire da questo empasse? “Il primo dato da sottolineare – continua Scanni – è che il problema non si risolve operando unicamente sulla spesa farmaceutica, non foss’altro perché incide solo per il 12% e perché un corretto utilizzo dei farmaci di ultima generazione consente un risparmio non indifferente nelle ospedalizzazioni. A nostro avviso, i nodi cruciali, a cui poi si legano gli altri punti del manifesto, sono la redistribuzione delle risorse e l’appropriatezza dei servizi erogati, in modo da ridurre gli sprechi – chiudendo per esempio le strutture obsolete e investendo in prevenzione e informazione corretta – recuperando così fondi da convogliare nella cura di patologie importanti”.Il farmaco, secondo gli esperti intervenuti al convegno (i proff. Stefano Zamagni, economista dell’Università di Bologna; Giulio Giorello, filosofo della scienza dell’Università di Milano; Claudio Jommi dell’osservatorio Farmaci del Cergas dell’Università Bocconi; Monsignor Angelo Bazzari, della Fondazione don Gnocchi; Gianni Marini di Astra Zeneca e Paolo Pegoraro, giornalista della Masson, moderati da Riccardo Bonacina, direttore del Magazine Vita), è dunque un bene, che va certamente governato, ma sicuramente non un costo. L’ha sottolineato con forza il dott. Gianni Marini: “Il contributo dei farmaci nel salvare vite umane è ampiamente documentato. Pensiamo soltanto a come gli antiulcera hanno eliminato il ricovero e l’intervento chirurgico, o i farmaci cardiovascolari hanno ridotto il numero di ri-ospedalizzazione dei pazienti infartuati. Certo – argomenta Marini – quando l’industria è in grado di introdurre un’innovazione, si aspetta un prezzo che le permetta di recuperare i costi di ricerca e questo può creare tensioni nei Sistemi Sanitari vincolati ai budget, vedi il tetto del 13% del finanziamento alla farmaceutica. Per questo è indispensabile che istituzioni come l’Agenzia Italiana del Farmaco giochino un ruolo chiave nell’aiutare a comprendere come costi e benefici possano impattare sul Servizio Sanitario e sul paziente, incoraggiando l’innovazione per la fondamentale importanza che essa riveste in un integrato approccio di gestione della malattia”.
Su quest’ultimo punto è d’accordo anche Claudio Jommi: “Non è possibile sostenere se il tetto del 13% sia o meno adeguato. Non ha senso se si ritiene che il mix di prestazioni da garantire deve essere funzionale alla risposta al bisogno, dove la risposta è variabile nel tempo e dipende da diversi fattori, che non sono interamente riconducibili al concetto di efficiente allocazione delle risorse. Soprattutto non può essere definita “ex ante” stabilendo che il 13% o il 15% o il 20% rappresentano la quota corretta per l’assistenza farmaceutica”.
Per il prof Stefano Zamagni la chiave di volta prevede, infine, “un nuovo modello di governance, che faccia arrivare al Servizio Sanitario, risorse umane e finanziarie”, da quelli che lui definisce “i soggetti a monte e a valle del sistema”, vale a dire, rispettivamente, le imprese e i cittadini. “. In altre parole – sostiene Zamagni -: se noi concepiamo la struttura sanitaria come un mondo chiuso, autoreferenziale, in cui la governance è nelle mani dell’ente pubblico, la società civile non potrà mai dare il proprio contributo in termini di know how, di conoscenza. Ecco allora il patto che si deve realizzare: cessione di quote di sovranità, in cambio di assunzione di responsabilità da parte della società civile. Che poi i cittadini si organizzino in fondazioni o associazioni è una questione tecnica, che può essere discussa successivamente. Di sicuro non è possibile pensare che la sanità possa continuare ad essere finanziata soltanto con le tasse, Occorre cambiare mentalità: arrivare cioè a quella che Sabino Cassese la chiama ‘amministrazione condivisa’” .