Milano, 24 novembre 2010 – 45 i paesi coinvolti nel trial. In Italia hanno partecipato 40 centri, con il coordinamento dei proff. Diego Ardissino di Parma e Antonio Carolei dell’Aquila
Una riduzione del 21% di ictus con rivaroxaban rispetto alla terapia standard con warfarin finora utilizzata. Lo studio Rocket AF, presentato recentemente a Chicago alla comunità scientifica internazionale riunita per l’AHA (American Heart Association), ha dimostrato, in particolare, la superiorità di rivaroxaban in pazienti con fibrillazione atriale (FA) non valvolare nel ridurre il rischio di ictus emorragico (0,26% contro 0,44%) e di eventi embolici sistemici non a carico del sistema nervoso centrale (0,04% contro 0,19%), rispetto a warfarin nella popolazione effettivamente trattata secondo quanto previsto dal protocollo e che ha completato lo studio. Altri importanti risultati a favore di rivaroxaban sono la diminuzione, rispetto a warfarin, del rischio di emorragie intracraniche e in organi critici e di morti legate al sanguinamento. Questi dati rappresentano un enorme passo avanti nell’affrontare un problema sanitario in costante aumento: sono 200.000 gli italiani colpiti ogni anno da ictus che vanno incontro a grave disabilità permanente o morte. “Nel 25% dei casi l’ictus cerebrale ischemico è causato dalla fibrillazione atriale che si manifesta con irregolarità del battito cardiaco, sintomi di affaticamento, palpitazioni, dispnea – afferma il prof. Diego Ardissino, direttore della Cardiologia dell’Azienda Ospedaliera dell’Università di Parma –. La malattia colpisce 2 persone su 100, spesso non dà sintomi e per questo è molto pericolosa. I cardiologi sono fortemente impegnati per scoprirla e prevenire le conseguenze più drammatiche”. “Chi ne soffre è a rischio – spiega il prof. Antonio Carolei, professore ordinario di Neurologia all’Università degli Studi dell’Aquila – perché, in presenza di fibrillazione atriale non valvolare, a livello del cuore si formano più facilmente emboli che, migrando, possono ostruire i vasi che portano sangue al cervello e provocare l’ictus.” La comunità scientifica internazionale ha accolto con grande interesse i risultati presentati all’AHA di Chicago, in cui l’Italia ha svolto un ruolo importante con 139 pazienti arruolati.“Nella fibrillazione atriale – continua il prof. Ardissino – il cuore perde il normale sincronismo e gli atrii non si contraggono più in maniera efficace. La conseguenza è la formazione, all’interno della camera cardiaca, di coaguli di sangue, che, partendo dall’atrio sinistro, possono formare emboli nel corpo o nel circolo cerebrale causando danni molto importanti: infarti intestinali, renali, gangrene agli arti inferiori, o molto più frequentemente ictus cerebrale. I due farmaci di cui attualmente disponiamo sono: l’aspirina, facile da assumere ma poco efficace e somministrabile solo nei pazienti con fibrillazione atriale a basso rischio, e l’anticoagulante orale tradizionale, il warfarin, che però è difficile da implementare, perché richiede monitoraggi continui e molta attenzione nella dieta e nelle modalità di assunzione da parte del paziente. Per questo motivo il 50% dei pazienti non segue la terapia”. “Sinora la prevenzione dell’ictus nel singolo paziente, valutato sulla base della presenza di alcuni fattori di rischio, si basava su due opzioni, terapia con antiaggreganti piastrinici per i soggetti a basso rischio o anticoagulanti orali (antagonisti della vitamina K) per i soggetti ad alto rischio, concorda il prof. Carolei – ma oggi una nuova categoria di anticoagulanti orali, come rivaroxaban, che inibisce direttamente il fattore X attivato, un importante fattore della coagulazione, è in grado di fornire importanti vantaggi. In particolare i pazienti non dovranno più sottoporsi a frequenti controlli del sangue per “adeguare la dose dell’anticoagulante”. Il valore dell’INR (International Normalized Ratio), misurato tenendo conto del rapporto tra il tempo di protrombina del paziente ed il tempo di protrombina di riferimento, indica per warfarin se il dosaggio impiegato è adeguato a ridurre il rischio di ictus cerebrale: i valori terapeutici devono essere compresi tra 2 e 3. Se il livello dell’INR è inferiore a 2 non si ha efficacia terapeutica e il paziente continua ad essere esposto al rischio di un evento ischemico; se il livello è invece superiore a 3 il paziente, pur protetto dalla formazione di emboli, è comunque esposto ad un maggior rischio di emorragia cerebrale”. La difficoltà con warfarin nel mantenere l’effetto anticoagulante in ambito terapeutico ne limita notevolmente l’efficacia potenziale, aumentando la possibilità di emorragie, oltre a rappresentare una controindicazione alla prescrizione della terapia in pazienti con scarsa capacità di adattamento all’assunzione regolare della terapia o comunque impossibilitati ad effettuare i necessari controlli laboratoristici. “Da oggi la nuova opzione terapeutica data da rivaroxaban ci consente una valida alternativa per la prevenzione cardiovascolare – conclude il prof. Ardissino – perché ci permetterà di aumentare l’accettazione della cura da parte del paziente”.
Rivaroxaban, anticoagulante orale che inibisce in maniera diretta il fattore Xa, viene somministrato sotto forma di compresse una volta al giorno. La molecola, già in commercio per la profilassi del tromboembolismo venoso negli interventi di sostituzione di anca e di ginocchio, non necessita di monitoraggio della coagulazione e non interferisce con la dieta, rappresentando quindi un’alternativa maneggevole, efficace e con buon profilo di sicurezza per la protezione di milioni di pazienti affetti da fibrillazione atriale e quindi ad elevato rischio di ictus.