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21 Dicembre 2005

REGINA ELENA, IN CRESCITA LA RICERCA MA CALANO I FONDI. TERAPIA INNOVATIVA CONTRO IL TUMORE ALLA PROSTATA

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La metodica verrà applicata per la prima volta al mondo. In aumento i lavori scientifici pubblicati e le prestazioni per i pazienti. Ma preoccupa il problema dei finanziamenti

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Roma, 13 luglio 2005 – Sottoporre il paziente a radioterapia durante l’intervento chirurgico di asportazione di un carcinoma prostatico: è questa la nuova frontiera della terapia antitumorale. A varcarla, per la prima volta al mondo, l’Istituto Nazionale dei Tumori Regina Elena di Roma. “La tecnica, sperimentata su individui con tumore della prostata non allo stadio iniziale – spiega il prof Michele Gallucci, direttore del reparto di urologia oncologica dell’Istituto – si pone l’obiettivo di migliorare la sopravvivenza libera da malattia nei pazienti ad alto rischio di recidiva”. La novità conferma l’eccellenza del Regina Elena, all’avanguardia nella messa a punto di trattamenti altamente innovativi per combattere il cancro. Il suo impegno ha portato il centro romano all’apice della ricerca e della clinica. “Lo dimostra – sottolinea il prof Francesco Cognetti, direttore scientifico dell’IRE – il secondo posto nazionale che il nostro istituto ha guadagnato nel campo della sperimentazione secondo il report mensile del Ministero della Salute. Lo confermano i due accordi bilaterali con gli Stati Uniti e le numerose collaborazioni internazionali, già in corso e in attivazione, che abbiamo stretto con numerosi Paesi”. E lo confermano soprattutto gli impegni importanti nella ricerca già assunti nel 2005, con l’attivazione dei nuovi laboratori. La cospicua attività del Regina Elena è descritta nella Relazione Scientifica 2004 che viene presentata oggi in un convegno che si tiene all’IRE dalle 10 alle 12,30 e prevede la partecipazione del Ministro della Salute Francesco Storace.

Più di 3mila ricoveri totali in più in due anni, da 11mila a oltre 14mila nel 2004. 8350 i pazienti curati non in regime ospedaliero contro i 2024 ricoverati e i 1437 in day hospital. 186 i trials clinici contro i 113 del 2002, 1.763 i pazienti arruolati contro i 974 di due anni prima. 32 gli studi coordinati dall’Istituto, il doppio rispetto al 2002. 109 quelli no-profit contro i 79 dell’anno precedente. Sono alcuni dei numeri relativi all’attività clinica e di ricerca svolta dall’istituto oncologico Regina Elena nel corso del 2004. Risultati che dimostrano l’eccellenza del centro romano – nel Lazio e in Italia – a livello di ricerca. E di assistenza. “Va rafforzato – specifica infatti il commissario straordinario degli IFO, prof Salvatore Cirignotta – il legame inscindibile e direttamente proporzionale tra ricerca biomedica e buona sanità. Una sanità che funziona si regge su basi solide, sempre caratterizzate da binomi inscindibili: da un lato le sinergie tra i centri d’eccellenza, sia nazionali che esteri, ma anche tra quelli sul territorio (Asl, aziende ospedaliere e presidi sanitari), in modo che al paziente sia sempre più agevole e facile trovare una soluzione, una risposta e possibilmente una cura risolutiva”.
Non mancano i problemi però. Si assiste ad un calo sensibile dei finanziamenti alla ricerca, da 7181 milioni di euro nel 2002 a 6188 nel 2004 per quella corrente. Ancora più negativo il record relativo alla ricerca finalizzata: dai 1646 milioni del 2002 agli attuali 460mila. Si tratta di un trend da cambiare soprattutto nell’ottica di promuovere il ritorno nel nostro Paese di tutti quei ricercatori eccellenti che hanno scelto altri paesi per portare avanti i loro progetti di ricerca e fermare l’emorragia dei cervelli che da anni caratterizza il nostro Paese. Obiettivi su cui vuole investire non solo il Regina Elena ma il Governo stesso. “Mai più cervelli in fuga” è infatti la promessa del ministro Francesco Storace, che si impegna perché nessun altro ricercatore sia costretto a lasciare il nostro Paese per fare ricerca scientifica.
Il Regina Elena sta già facendo la sua parte. Dei ricercatori attualmente occupati nell’istituto, una buona percentuale sono “cervelli rientrati” da precedenti esperienze all’estero. Con tutti si sta cercando di promuovere la multidisciplinarietà e uno spirito collaborativo. “In una disciplina come l’oncologia – commenta infatti il prof Cognetti – caratterizzata da tante sconfitte cliniche, ma anche da grandi soddisfazioni nella ricerca e nelle relazioni umane, il sentirsi parte di un gruppo rappresenta spesso la spinta a proseguire sulla strada intrapresa”. Sono stati messi a punto in quest’ottica i cosiddetti Desease Management Team. Ne sono stati istituiti 21, uno per patologia. I loro obiettivi sono: l’elaborazione di linee guida per ciascun tipo di tumore, la discussione dei singoli casi clinici, la progettazione dell’attività di ricerca, da valutare insieme in riunioni mensili, l’unificazione dei protocolli, la determinazione dei flussi dei pazienti, l’apertura alle collaborazioni con altre istituzioni. “Questi team – conclude il prof Cognetti – facilitano la comunicazione e la collaborazione tra i vari operatori. L’approccio multidisciplinare che caratterizza questi gruppi migliora sensibilmente l’approccio e l’assistenza al paziente”.
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