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Medinews
14 Ottobre 2008

POLMONE, PER LA PRIMA VOLTA AUMENTA LA SOPRAVVIVENZA: TERAPIA TARGET COMBATTE IL PIU’ PERICOLOSO BIG KILLER

sez,543

Presentati alla XII Conferenza nazionale AIOM i dati di uno studio clinico internazionale

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Roma, 29 marzo 2006 – Un guadagno dell’aspettativa di vita del 42,5%, la sopravvivenza ad un anno passata dal 22 al 31% e, risultato non trascurabile per il paziente, la riduzione dei sintomi correlati al tumore: tosse, dispnea, dolore toracico. Si tratta di importanti spiragli di luce anche nella terapia di uno dei maggiori big killer oncologici, il cancro del polmone non a piccole cellule (NSCLC), dopo le delusioni del recente passato. La svolta viene da una piccola molecola da assumere per bocca una volta al giorno, l’erlotinib, che agisce in modo selettivo andando a colpire uno specifico bersaglio molecolare, denominato EGFR. “Il dato oltremodo interessante – sostiene il prof. Filippo de Marinis, presidente della XII Conferenza nazionale AIOM, in corso all’Auditorium del Parco della Musica fino a venerdì 31 – è che il farmaco ha dato risultati promettenti in persone in cui il tumore del polmone non a piccole cellule (l’80% di tutti i carcinomi polmonari) era in progressione o in metastasi e che avevano esaurito tutte le opzioni a disposizione, destinati quindi alle sole terapie di supporto. Passare da 4,7 a 6,7 mesi di sopravvivenza in questi pazienti – prosegue de Marinis – è un guadagno significativo, che apre interessanti prospettive a breve e medio termine: nel breve vi è la possibilità per questa fetta di malati di poter sopravvivere più a lungo e in buone condizioni, malgrado lo stato molto avanzato della malattia. Nel medio termine credo si potranno ipotizzare combinazioni di queste molecole ‘target’ con altri chemioterapici o con altri farmaci biologici, nel tentativo di “cronicizzare” il più possibile l’evoluzione del tumore”. La messa a punto di erlotinib e le evidenze dimostrate in un ampio studio clinico canadese, in cui sono stati selezionati 731 pazienti provenienti da 86 istituti di 17 Paesi, è stata accolta con favore dagli stessi oncologi. Lo prova un sondaggio promosso dall’AIOM e al quale hanno risposto 705 iscritti. L’83% ritiene che erlotinib è destinato a modificare l’approccio clinico e sempre 8 su 10 sono convinti che non solo sia un’opzione per i pazienti che attualmente non vengono trattati ma possa diventare un’alternativa alla chemioterapia.
Il cancro del polmone rappresenta la prima causa di morte sia negli uomini (oltre il 30% di tutti i decessi per cancro) che nelle donne (oltre il 25%). In Italia ogni anno sono stimati tra i 35 e i 40.000 nuovi casi, con altrettanti decessi. Di questi 6.700 sono donne. “Purtroppo – spiega il prof. Francesco Cognetti, presidente del Comitato organizzatore della Conferenza AIOM – la diagnosi tardiva di questa malattia (circa il 50% delle nuove diagnosi riguarda la malattia metastatica), fa sì che i risultati siano comunque limitati. La chirurgia negli stadi I e II è in grado di ottenere da un 60 ad un 80% di sopravvivenza a 5 anni; l’integrazione di chemioterapia, chirurgia e radioterapia nello stadio III raggiunge un 25% di sopravvivenza, sempre a 5 anni; con la chemioterapia nel IV stadio si arriva ad un 50% di sopravvivenza ad 1 anno, con una mediana di 8-10 mesi. In generale il livello di sopravvivenza complessiva di tutti gli stadi a 5 anni varia però dal 10 al 15%”. “Nonostante questi vantaggi – sottolinea il prof. Emilio Bajetta, presidente nazionale AIOM – la chemioterapia è gravata da troppi effetti collaterali e da una somministrazione limitata nel tempo (non più di 4 mesi) dovuta alla resistenza che il tumore sviluppa ai farmaci. Due, tre anni fa si era quindi cominciato a parlare di ‘stallo’ o di ‘plateau’ di risultati per la chemio nella malattia metastatica. Oggi erlotinib offre invece una possibilità concreta sia nella seconda che nella terza linea di terapia”.
Al di là dei progressi della ricerca, la prevenzione rimane comunque a tutt’oggi il principale salvavita. “E la prima forma di prevenzione – afferma Cognetti – è non fumare. In base a statistiche e calcoli matematici, un uomo che fuma ha 23 volte più probabilità di ammalarsi di cancro al polmone di uno che non fuma, mentre per le donne il pericolo è 13 volte maggiore. Di contro, se un tabagista smette di fumare, il rischio di sviluppare la malattia si riduce progressivamente: dopo 10-15 anni le possibilità che si ammali sono identiche a quelle di una persona che non ha mai fumato. Anche per questo – aggiunge Cognetti – credo che la legge antifumo in vigore da un anno in Italia sia un grande progresso di civiltà. Noi oncologi avevamo salutato con favore questo provvedimento, malgrado un certo scetticismo sulla reale incidenza di una normativa di divieto sulla popolazione. Invece i risultati sono incoraggianti, anche se è indispensabile un intervento mirato soprattutto nelle scuole, a partire da quelle dell’obbligo, dove c’è il primo contatto con la sigaretta”.
Secondo quanto riferisce il Ministero, nel periodo gennaio-novembre 2005 si è registrata una riduzione complessiva del 5,7% nella quantità venduta di sigarette rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Nel periodo gennaio-settembre 2005 le vendite di prodotti sostitutivi della nicotina sono quasi raddoppiate (da 475.025 a 911.507 unità vendute, 91,9%) rispetto allo stesso periodo del 2004.
Un ruolo chiave nella prevenzione e nell’informazione al paziente lo gioca senz’altro il medico di famiglia. A sottolinearlo è il prof. Bajetta. “In questo contesto di continuo progresso della ricerca, compito di una società scientifica è prima di tutti di aggiornare costantemente le proprie Linee Guida di trattamento. Il carcinoma polmonare va affrontato come malattia sistemica dall’esordio e conseguentemente, ogni singolo caso, indipendentemente dallo stadio iniziale, deve essere valutato con modalità interdisciplinare nell’ambito di un Gruppo Interdisciplinare Cure (GIC) in coerenza con le raccomandazioni delle Linee Guida regionali e con le migliori evidenze scientifiche disponibili. Il medico di medicina generale è chiamato a gestire l’assistenza al paziente all’esordio della malattia ma soprattutto ad evitare ritardi diagnostici che potrebbero risultare fatali. Dal momento in cui c’è un fondato sospetto di cancro, il medico di famiglia è responsabile dell’accesso informato del paziente alla Rete Oncologica, deve affiancarlo durante tutta la sua permanenza presso i Servizi della Rete e contribuire alla presa in carico globale del malato e dei suoi famigliari garantendo un percorso informato in ciascuna fase della malattia”.
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