Specialisti, Istituzioni e imprenditori a convegno in Assolombarda a Milano
Milano, 1 ottobre 2004 – Tra i primi al mondo per genio e capacità produttive secondo una classifica internazionale pubblicata su Science, lontani dai primi per finanziamenti e strutture. È il paradosso tutto italiano in tema di ricerca clinica indipendente: alle potenzialità e alla creatività dei nostri “cervelli” non corrisponde un adeguato supporto economico da parte dello Stato. “In questo vuoto di competenze, e di potere – dice il professor Giuseppe Remuzzi, Direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, Bergamo – si sono così inseriti i privati, con tutti i vantaggi in termini di disponibilità ma anche con i limiti del caso. Le industrie sono arrivate a sostenere quasi interamente la messa a punto e lo sviluppo di nuovi farmaci, rendendo difficoltoso il coinvolgimento dei ricercatori nel processo decisionale, anche in termini di accesso ai dati (inclusi quelli negativi) degli studi. Una situazione delicata, potenzialmente rischiosa: solo studi davvero liberi, condotti anche quando non seguono logiche di mercato, possono infatti garantire la validità e la sicurezza dei risultati”.
Per promuovere la ricerca clinica in Italia, si sono dati appuntamento oggi a Milano, nella sede di Assolombarda, rappresentanti del mondo della ricerca, delle Istituzioni e dell’industria. Obiettivo dell’incontro, che ha per titolo “La Ricerca Clinica sul farmaco in Italia: valore e prospettive”, è di mettere a punto una proposta che consenta di sviluppare la ricerca orientata ai bisogni clinici e al progresso della medicina e della scienza, anche se poco remunerativa economicamente. Al centro dell’attenzione vi sono modelli innovativi che coinvolgono tutti gli attori impegnati nelle diversi fasi di sperimentazione di un farmaco: concezione, sviluppo, commercializzazione e successivi controlli.
“La ricerca clinica è la più vicina alle richieste del Servizio Sanitario Nazionale, che deve basare i suoi interventi su conoscenze scientifiche e non su impressioni o suggestioni – afferma il prof. Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” di Milano -. Senza questo lavoro fondamentale non si può verificare se le scoperte della ricerca pre-competitiva e pre-clinica abbiano un reale impatto sulla salute della popolazione. Per questo – sottolinea Garattini – è necessaria una ricerca clinica equilibrata: non sempre gli interessi industriali coincidono con le aspettative e le necessità del servizio pubblico. L’industria, infatti, è poco interessata ad eseguire confronti fra farmaci che si rivolgono alle stesse indicazioni terapeutiche per l’evidente ragione di non favorire eventualmente il competitore commerciale. Il Servizio pubblico vuole invece sapere che cosa è meglio scegliere per ottenere la massima efficienza nei suoi interventi. Vuole ad esempio evitare di pagare somme elevate per nuovi farmaci che non differiscono sostanzialmente da quelli vecchi e meno costosi. L’Italia – conclude – pur con le sue difficoltà economiche, potrebbe dare un esempio servendosi dei fondi disponibili presso la nuova Agenzia del Farmaco e soprattutto stimolando l’Europa a creare un fondo indipendente per sostenere la ricerca clinica”.
Un possibile modello di governo della ricerca clinica sul farmaco, secondo il prof. Luigi Tavazzi, direttore del Dipartimento di Cardiologia dell’Ospedale San Matteo di Pavia, prevede interazioni su più livelli tra l’approccio prettamente aziendale e quello pubblico. “Il primo livello – sostiene – prevede l’integrazione tra Agenzia del Farmaco, Istituto Superiore di Sanità, Società Medico Scientifiche e altri professionisti per la valutazione continua dei bisogni di salute, degli strumenti disponibili e delle linee di ricerca da sviluppare per generare risposte più efficaci. Allo scopo si potrebbero stabilire tavoli permanenti organizzati per area terapeutica a cui invitare non solo organi istituzionali ma anche l’Industria e le Società scientifiche per stabilire progetti finalizzati e finanziati da charities, Fondazioni, Agenzia del Farmaco, Regioni e dall’industria stessa per stabilire progetti condivisi da tutti gli attori del sistema sanitario. L’obiettivo è coinvolgere le aziende farmaceutiche anche nella messa a punto e nel finanziamento di farmaci orfani, molecole utili a curare quelle patologie rare, la cui messa a punto è generalmente poco remunerativa”.
E l’industria cosa ne pensa? “L’area della ricerca clinica – sostiene Giacomo Di Nepi, amministratore delegato di Novartis Italia – è una delle poche in cui lo svantaggio competitivo può essere colmato e dove in realtà è possibile fare molto di più grazie al valore dei nostri ricercatori. Gli altri Paesi si stanno muovendo in questa direzione: ora è il momento di costruire alleanze che puntino rapidamente sulla crescita di competitività di questo settore in Italia. Ricerca indipendente e ricerca privata sono entrambe alla base della competitività del Paese – sottolinea ancora Di Nepi – A questa dobbiamo puntare, raggiungendo tre obiettivi principali: cooperare nel processo di miglioramento degli standard qualitativi; rivedere la regolamentazione che oggi penalizza fortemente il nostro settore; dare più stabilità al sistema farmaceutico promuovendo strumenti di supporto, anche in termini di defiscalizzazione, analoghi a quanto avviene in altri Paesi. Abbiamo una buona carta da giocare perché partiamo da punti di forza significativi legati al valore dei nostri ricercatori: solo un’alleanza costruttiva tra istituzioni, centri di eccellenza ed industria può consentirci di sfruttare con decisione questa opportunità”.