Il centro perugino protagonista di studi internazionali, seguiti oltre 100 pazienti l’anno. Dal congresso mondiale di oncologia conferme sulle terapie antiangiogeniche
Perugia, 20 giugno 2008 – Quattro anni: questo è stato il tempo necessario per rovesciare il panorama terapeutico del carcinoma renale. Da malattia orfana, per cui non esistevano cure efficaci a quello che oggi potremmo definire un “overbooking” di farmaci. “Un ‘affollamento’ di cui siamo ben lieti – afferma il dr. Sergio Bracarda, oncologo dell’Ospedale Santa Maria della Misericordia dell’Umbria e Coordinatore Scientifico del congresso “Post-Asco meeting on Advanced Kidney Cancer” in corso oggi e domani a Perugia – Oggi, addirittura, iniziamo ad intravedere la possibilità di personalizzare il trattamento, sulla base delle caratteristiche del paziente e della malattia. Ma siamo ancora lontani da un approccio vincente: bisogna investire in maniera decisa nella ricerca così da arrivare, nei prossimi dieci anni, ad una sua reale sconfitta”. Ed è questa la strada intrapresa dall’ospedale di Perugia, che si conferma una delle “capitali” per la cura di questa patologia che colpisce ogni anno 8.500 persone nel nostro Paese: il centro è fra i più attivi d’Italia nella lotta al carcinoma renale, con oltre 100 pazienti seguiti negli ultimi 12 mesi e una forte migrazione da altre regioni, protagonista delle principali ricerche internazionali che hanno portato alla disponibilità di queste nuove molecole. “Abbiamo 8 studi attivi o in via di attivazione, di cui 5 internazionali – afferma il dr. Lucio Crinò, direttore dell’Oncologia Medica del Santa Maria della Misericordia- . Stiamo inoltre sviluppando protocolli autonomi, in particolare studi per identificare dei fattori predittivi di risposta alle terapie, la vera strada su cui insistere per ottenere trattamenti sempre più mirati ed efficaci, oltre che appropriati anche sotto il profilo di un equo utilizzo delle risorse sanitarie disponibili”. I risultati presentati all’ASCO 2008, il più importante congresso mondiale di oncologia che si è recentemente concluso a Chicago, ribadiscono quindi come i trattamenti antiangiogenici, come Bevacizumab, di prossima approvazione in Italia nel carcinoma renale, abbiano modificato radicalmente la possibilità di controllo della malattia. Proprio le novità del congresso americano sono al centro del meeting di Perugia, alla sua seconda edizione, che ospita prestigiosi esperti internazionali e vede coinvolti oltre 200 oncologi italiani. Il Convegno è presieduto dal dr. Bracarda, dal dr. Crinò e dal dr. Camillo Porta, oncologo dell’IRCCS Fondazione Policlinico San Matteo di Pavia.
Il tumore del rene rappresenta il 3% di tutte le neoplasie maligne, prevale nel sesso maschile (con un rapporto di 2 a 1) e colpisce soprattutto le persone di età superiore a 60 anni. “Il carcinoma renale – spiega il dr. Bracarda -. È difficile da diagnosticare perchè spesso rimane silente, in particolare nelle prime fasi di crescita, e trattamenti “tradizionali” come la chemio o la radioterapia, non hanno prodotto su questo tipo di neoplasia risultati soddisfacenti. Le terapie molecolari mirate hanno invece inciso in maniera evidente sulla sopravvivenza del paziente e sulla sua qualità di vita. Ma anche in questo caso bisogna fare attenzione ai profili di tossicità, che sono diversi per ciascuna, e richiedono quindi una scelta oculata che tenga conto delle condizioni generali del malato e di eventuali patologie preesistenti (cardiocircolatorie, respiratorie, ecc.), così da somministrare ad ognuno la terapia più appropriata. Grazie ai progressi della ricerca oggi si registra una crescita costante della percentuale di pazienti che rimangono in buone condizioni generali dopo una prima progressione di malattia e per i quali è giustificata la scelta di una seconda opzione terapeutica che potrebbe rivelarsi vincente”.
Ma è importante insistere molto sulla prevenzione: anche in questo tipo di neoplasia il nemico numero uno è il fumo ma non va sottovalutata la dieta: “Smettere di fumare potrebbe ridurre dal 16 al 28% i casi di tumore del rene negli adulti e l’obesità è causa di circa il 25% dei casi in Europa – spiega il prof. Crinò – . Inoltre, anche se ancora non sono note le cause, l’incidenza di questa neoplasia risulta più elevata nelle aree urbane rispetto a quelle rurali e nei paesi sviluppati rispetto a quelli in via di sviluppo”.
I farmaci antiangiogenici agiscono andando ad “affamare” il tumore, impediscono cioè lo sviluppo di nuovi vasi sanguigni (indotti dal tumore) a partire da quelli preesistenti, lasciando la neoplasia senza rifornimento di sangue, così da metterne in crisi la crescita, la sopravvivenza e la diffusione. La prima molecola a utilizzare questo meccanismo è stata il bevacizumab, utilizzato inizialmente per il colon-retto. L’approvazione di questa molecola anche per il carcinoma renale è attesa in Italia nei prossimi mesi, insieme ad altre importanti indicazioni, come il tumore della mammella metastatico, del polmone metastatico non a piccole cellule e una più ampia indicazione per quello del colon-retto. “Questi farmaci riescono non solo a migliorare la sopravvivenza libera da malattia ma, in qualche caso, anche la sopravvivenza complessiva – aggiunge Bracarda -. Oggi si parla di sopravvivenze di circa due anni per pazienti che, fino a 4 anni fa, avevano una prospettiva di soli 12-14 mesi. Risultati incoraggianti, anche se c’è ancora molta strada da fare. Si registrano inoltre, seppur piuttosto sporadici, anche casi di remissione completa. Pazienti a cui noi medici guardiamo con particolare attenzione perché potrebbero essere un modello per comprendere meglio i meccanismi di sviluppo e di azione della malattia”.
Il “Post-Asco meeting on Advanced Kidney Cancer” è già diventato un appuntamento imperdibile per i massimi esperti italiani che si occupano di questa patologia. Quest’anno, tuttavia, oltre agli aspetti scientifici, si è voluto lanciare anche un deciso segnale di attenzione rispetto all’umanizzazione e al rapporto con il paziente: le tre letture previste non sono state infatti dedicate a luminari della medicina, come spesso accade, ma a tre pazienti. La targa ricordo che i relatori riceveranno, curata da una comitato locale di pazienti e caratterizzata da una grafica molto particolare, ricorderà questa peculiarità.