L’allarme degli esperti: sono oltre 5 milioni e mezzo gli italiani con ipoacusie lievi e moderate, ma molti sottovalutano il problema e si rivolgono al medico troppo tardi
Milano, 10 febbraio 2004 – Un auricolare invisibile collegato a un tubicino trasparente che scompare nell’orecchio al posto dell’ingombrante e vistoso apparecchio tradizionale. Non è un sogno futuro ma un sistema già disponibile. Si chiama élan, è frutto della ricerca e sviluppo della Widex, ed è destinato a modificare per sempre il difficile rapporto tra chi soffre di problemi uditivi e il proprio apparecchio acustico. “I nuovi mini retroauricolari – spiega il prof. Desiderio Passali, presidente della Federazione Europea delle Società di Otorinolaringoiatria (EUFOS) – mediante uno speciale auricolare non invasivo, combinano i benefici della tecnologia ad “orecchio aperto” con i vantaggi e la flessibilità della tecnologia digitale d’avanguardia. È un modo per andare incontro alle esigenze del paziente, cercando di rendere naturale, così come l’uso degli occhiali per la vista, anche uno strumento per migliorare l’udito. In questo modo anche pazienti più giovani e di mezza età possono più facilmente adattarsi all’utilizzo degli apparecchi acustici. I primi disturbi della funzione uditiva – aggiunge il prof. Passali – si sviluppano, nel 52% dei casi, proprio nella fascia di età che va dai 35 ai 64 anni. In questo periodo la perdita può essere lieve o moderata soprattutto alle alte frequenze. Ma già alcune parole diventano incomprensibili e i pazienti a volte sono costretti a ricorrere alla lettura del labiale per mantenere una normale integrazione nel contesto sociale”. Oltre ad élan, oggi la tecnologia digitale consente di produrre anche i gusci più ‘tradizionali’ in modo perfetto grazie a Camisha (Computer Aided Manufacturing of Individual Shells for Hearing Aids) che utilizza la Stereolitografia, una tecnica impiegata in Formula 1 per la costruzione dei prototipi.
Sono oltre 5 milioni e mezzo gli italiani con ipoacusie lievi e moderate, che nella stragrande maggioranza dei casi hanno sottovalutato il problema fino all’ultimo momento. “Arrivano da noi quando si spaventano davvero – sottolinea il dr. Giorgio Monti, segretario nazionale della Società Italiana di Medicina Generale (SIMG) -. Eppure trascorrendo un lungo periodo con una perdita uditiva non corretta, la capacità del nostro cervello di interpretare i suoni si deteriora. La Simg, negli ultimi tempi è impegnata a prevenire e mantenere in salute coloro che stanno bene e a limitare la comparsa di disturbi e malattie. Il problema dell’udito diventerà presto oggetto, anche in medicina generale, di una valutazione sistematica delle persone a rischio”.
Delle persone che utilizzano l’apparecchio tradizionale, il 30% cita l’occlusione come la ragione della propria insoddisfazione per l’apparecchio acustico o della decisione di utilizzarlo saltuariamente. “Si può facilmente intuire di cosa si tratti – sottolinea l’ing. Marco Giannetti, direttore dei Servizi tecnici e audiologici Widex Italia – se pensiamo alla sgradevole percezione della nostra voce quando ad esempio chiudiamo il canale uditivo con le dita. Ovviamente l’effetto viene percepito in maniera diversa da persona a persona. In questi ultimi anni la situazione è radicalmente mutata a beneficio dei pazienti. Le ultime frontiere della ricerca audiologica e tecnologica rendono possibile risolvere tanti problemi, in maniera fino a qualche anno fa inimmaginabile. “Per coloro che – continua Giannetti – non sono finora riusciti ad adattarsi agli apparecchi acustici tradizionali, élan è la soluzione ideale. Il beneficio dell’orecchio aperto non è soltanto legato all’assenza degli effetti indesiderati dell’occlusione, ma anche all’applicazione istantanea. Infatti con il nuovo auricolare non c’è più bisogno di rilevare l’impronta e di attendere la costruzione dell’apparecchio. Il paziente entra nello studio audioprotesico e può trovare con rapidità una soluzione adeguata”.
Ma le nuove tecnologie applicate agli apparecchi acustici non sono soltanto élan. Recentemente è stata introdotta anche in Italia, dopo Stati Uniti, Australia, Spagna, Olanda e Inghilterra, CAMISHA (Computer Aided Manufacturing of Individual Shells for Hearing Aids), una tecnica per la produzione computerizzata dei gusci degli endoauricolari. “Con CAMISHA – ricorda Giannetti – gli utenti di apparecchi acustici possono beneficiare di prodotti anallergici e più confortevoli con minori rischi di feedback e di occlusione, grazie alla perfetta aderenza del guscio all’impronta e alla possibilità di realizzare una ventilazione migliore”.
L’ipoacusia è una malattia in crescita del 5% all’anno: ogni giorno 30 persone scoprono per la prima volta di avere disfunzioni all’udito. Eppure un terzo dei malati impiega ben tre anni prima di parlarne con il medico. Il 37% non è cosciente del problema, mentre del rimanente 63% il 30% non ha mai effettuato un controllo, pur sapendo di avere una ridotta capacità uditiva. I costi sociali del mancato trattamento dell’ipoacusia sono pari a 92 mld € all’anno nei paesi Ue. Per aiutare i pazienti a riconoscere e ad affrontare il problema è nata Scarica