giovedì, 30 marzo 2023
Medinews
13 Dicembre 2002

LA CURA DEI TUMORI SI ‘UMANIZZA’: DALLA CAMPANIA UNA LEZIONE DI QUALITA’ DI VITA CONTRO IL CANCRO

Lella Gasparro - Comunicazione Novartis

Al via a Napoli il primo congresso dedicato a diffondere un nuovo modello di trattamento

Napoli, 13 dicembre 2002 – Nessun medico può assicurare la guarigione al proprio paziente, può però trovare la cura meno tossica e più efficace nel controllo dei sintomi come il dolore, l’affaticamento causato dall’anemia, lo stress psicologico e gli altri disturbi. “Farò il possibile per farla vivere di più ma soprattutto cercherò di farla vivere il meglio possibile”.

Il nuovo modello della lotta ai tumori è tutto qui, in questa frase che mette sullo stesso livello qualità di vita e sopravvivenza.
Lo testimoniano due studi, siglati ELVIS e MILES – i primi al mondo con l’obiettivo primario di misurare la qualità di vita complessivamente di circa 1000 pazienti anziani con tumore avanzato al polmone (20mila all’anno gli ultrasessantacinquenni colpiti in Italia) – condotti in un centinaio di centri italiani dall’Istituto Nazionale Tumori di Napoli e coordinati da Cesare Gridelli, direttore dell’Oncologia Medica dell’Ospedale ‘S.G. Moscati’ di Avellino.
Il dr. Gridelli è l’organizzatore, insieme al prof. Enrico Cortesi, oncologo dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma e al dr. Fausto Roila della Divisione di Oncologia Medica del Policlinico di Perugia del congresso internazionale ‘Sopravvivenza e qualità di vita’, oggi e domani all’Hotel Vesuvio di Napoli, che riunisce i massimi esperti del settore.

Nei tumori potenzialmente guaribili quali i linfomi, i tumori del testicolo anche se in metastasi, i tumori in stadio iniziale guaribili con la chirurgia come quello alla mammella, al colon e altri, la guarigione è il primo obiettivo, ma – spiega Gridelli – “la qualità di vita è comunque importante. In questi casi si devono considerare due aspetti: primo, la tolleranza al trattamento, sia di tipo chirurgico, radioterapico o chemioterapico e in particolare la tossicità della chemioterapia impiegando i migliori farmaci oggi a disposizione e le terapie di supporto disponibili. Secondo, è fondamentale che il paziente riprenda la propria esistenza come prima della malattia, compresa l’attività sessuale e riproduttiva. In chi invece ha una diagnosi infausta – sottolinea Gridelli – per esempio un tumore del polmone in metastasi, l’obiettivo primario diventa la qualità di vita cioè come il paziente vive quei mesi che gli restano. In questi casi è importante effettuare trattamenti poco tossici che diano un miglioramento dei sintomi senza però compromettere l’esistenza del malato”.
Come determinare qual è la terapia che garantisce la migliore qualità di vita? Un contributo notevole viene dalle scale di valutazione che, come spiega il prof. Cortesi, “sono questionari che permettono di misurare l’andamento delle condizioni dei malati oncologici. La metodologia di queste valutazioni è attualmente in fase di evoluzione allo scopo di migliorare le scale stesse, le analisi dei risultati e la loro interpretazione”.
Nonostante la disponibilità degli strumenti di rilevazione e l’interesse suscitato dall’argomento, finora non è però stato fatto molto in termini di studi clinici sulla qualità di vita. “Una recente valutazione – precisa il dr. Roila – ha messo in evidenza che a livello internazionale pochi studi hanno inserito tra i loro obiettivi la qualità di vita dei pazienti e che spesso quando questo è stato fatto la metodologia non è stata sempre corretta”. Il problema della valutazione e la discussione del rapporto tra i due obiettivi diversi dell’oncologia, sopravvivenza e qualità di vita, è al centro dell’attenzione al congresso internazionale, il secondo dopo quello nazionale del 2000. “A distanza di quasi tre anni – dice Gridelli –, con il congresso che si è aperto oggi intendiamo riaffrontare tali problematiche alla luce dei nuovi sviluppi di alcune metodologie per la valutazione della qualità di vita e alla conclusione di studi importanti; il nostro obiettivo è ora ampliare l’esperienza e i riconoscimenti ottenuti a livello internazionale mettendo a confronto le esperienze dei ricercatori di tutto il mondo”.
Il centro avellinese, che organizza il congresso, è uno dei reparti oncologici più all’avanguardia d’Italia. “Abbiamo dato grande importanza – spiega Gridelli – a proporre un modello innovativo di qualità globale delle cure. Grazie alla sensibilità e disponibilità della Direzione dell’ospedale, i nostri malati effettuano la musicoterapia, hanno il supporto da parte di una psicologa, sono ricoverati in camere a due o massimo tre letti con bagno e TV, possono scegliere sia a pranzo che a cena tra 3 differenti menù e tra poco avranno il quotidiano preferito ogni mattina. Penso fermamente che tutto ciò sia qualità di vita, che questo tipo di accoglienza dell’ammalato sia fondamentale; non sempre purtroppo viene data priorità a questo aspetto di armonizzazione e umanizzazione in tutti i centri”. Ad Avellino con questo tipo di organizzazione, insieme alla disponibilità dei più moderni trattamenti e farmaci, quest’anno i ricoveri sono raddoppiati e gli accessi al day hospital sono addirittura quintuplicati rispetto al 2001 e la metà dei pazienti in cura non viene da Avellino ma dalle città e dalle province di Napoli, Benevento, Salerno e Caserta, mentre sono sempre di più le persone arrivano anche da fuori Regione, da Puglia, Basilicata, Molise, Lazio, Calabria e Toscana.
Viaggi della speranza e migrazione sanitaria si possono quindi invertire? Si, secondo Gridelli, “a patto di puntare decisamente sulla qualità, sia delle cure che della vita del malato”.

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