Individuare la traccia sul dna per stabilire il rischio e personalizzare la cura sono i prossimi obiettivi dei ricercatori. Ma già oggi esistono armi target che aumentano la sopravvivenza
Perugia, 11 aprile 2008 – Il tumore lascia una prova del suo attacco all’organismo, la firma genica. Rintracciarla, sovrapponendola a quelle conosciute per vedere se corrispondono, dovrebbe permettere in un prossimo futuro di attaccarlo precocemente, sul nascere. O di stabilire il livello di rischio e scegliere se utilizzare i chemioterapici o passare a farmaci mirati. Già oggi con l’analisi dell’oncogene HER-2 neu si è rivoluzionato il trattamento del carcinoma mammario, abbattendo del 50% le ricadute. La selezione delle pazienti da curare con i nuovi farmaci a bersaglio molecolare è il tema di punta della XVI conferenza nazionale dell’Associazione Italiana di Oncologia medica (AIOM), dal titolo “Ricerca traslazionale in oncologia: risultati e prospettive” che si tiene a Perugia da oggi al 12 aprile. “L’identificazione di nuovi bersagli molecolari e di nuovi farmaci mirati rappresenta uno degli scopi prevalenti della medicina traslazionale – spiega il prof. Francesco Boccardo, presidente nazionale AIOM – cioè diagnosi e cura mediante test in grado di caratterizzare meglio genotipo e fenotipo tumorali: se trattassimo con farmaci mirati pazienti non selezionate in base all’HER2 non si otterrebbe alcun risultato. Invece scegliendo le donne HER2 positive si ottiene la riduzione del rischio di recidiva”. “Altri notevoli progressi sono stati raggiunti nella terapia mirata del cancro del colon retto avanzato – aggiunge Marco Venturini, segretario AIOM – passando da sopravvivenze dell’ordine dei 6 mesi fino ai quasi 2 anni attuali e ulteriori avanzamenti sono stati ottenuti nel tumore del polmone, passando dai 6 mesi della terapia di supporto a 12 mesi con la terapia combinata con i nuovi farmaci”. “Le ultime ricerche cui partecipano attivamente i gruppi italiani – spiega Lucio Crinò, presidente della conferenza – sono concentrate sull’espressione dei geni della famiglia dei fattori di crescita tumorali, in particolare sulle mutazioni e sull’amplificazione dei geni di EGFR (Epidermal Growth Factor Receptor) e della “ERB family”, oltre che sull’inibizione dell’angiogenesi mediata dal Vascular Endothelial Growth Factor o VEGF.
Il contributo della ricerca di nuovi target e nuovi farmaci per la cura dei tumori non è facilmente quantificabile tanto che un acceso dibattito è in corso da qualche tempo per capire se il notevole investimento richiesto sia giustificato da un significativo risultato terapeutico. “Gli enti regolatori potrebbero considerare come non economico l’impiego di questi farmaci – risponde Venturini – Ma, dal punto di vista del clinico, l’incremento di sopravvivenza anche di pochi mesi rappresenta, in alcuni tumori, un passo avanti importante.” Inoltre non va dimenticato, secondo gli esperti riuniti a Perugia, che questo tipo di ricerca sui farmaci e sui bersagli, consente di portare i risultati al più presto al letto del paziente nel tempo più breve possibile. “Una delle maggiori criticità della ricerca oggi in Italia è rappresentata dallo scarso interesse per la translational research – afferma il prof. Boccardo – che nasce in laboratorio così come quella di base. Ma mentre questa è spesso mirata a comprendere meglio i fenomeni, per esempio i meccanismi di cancerogenesi, la translational si prefigge come scopo prodotti di applicazione clinica quasi immediata, al letto del paziente, per esempio per diagnosticare meglio le malattie o identificare fattori in grado di predire meglio il decorso clinico e la risposta a specifiche terapie.” “Scopo principale della conferenza di Perugia – spiega Crinò – è proprio sottolineare come i recenti risultati della ricerca biomolecolare in oncologia abbiano consentito l’inizio di una personalizzazione dei trattamenti in molte neoplasie, identificando fattori individuali nel genoma dei tumori, responsabili della diversa storia naturale e della differente risposta ai trattamenti.” Gli esperti riuniti a Perugia hanno anche sottolineato i limiti di una ricerca sempre più mirata, infatti la restrizione maggiore all’impiego dei farmaci a bersaglio molecolare è oggi rappresentata dallo spettro d’azione ristretto a quei particolari sottogruppi di neoplasie che, pur condividendo alcune caratteristiche, dipendono da specifiche alterazioni molecolari. Pertanto l’impiego delle nuove conoscenze sul Dna e delle nuove molecole passa attualmente da una combinazione con tecniche e cure tradizionali, per stabilire dosi meno invasive di chemioterapia o per aumentarne l’efficacia. Il nucleo del problema, per Marco Venturini, è che “lo sviluppo dei nuovi farmaci è legato quasi interamente a studi di tipo registrativo, disegnati per introdurre il farmaco in commercio. Studi che ricalcano le modalità utilizzate per i chemioterapici classici. Ovvero trattamento di tutti i pazienti senza un’adeguata ricerca di fattori che permettano di discriminare quali hanno maggiori possibilità di rispondere a un determinato farmaco. Questo atteggiamento porta alla registrazione di farmaci ad altissimo costo senza alcuna selezione dei malati da trattare. E’ necessario ritornare al concetto del farmaco giusto per il paziente giusto, altrimenti si potrebbe arrivare a una non sostenibilità delle terapie con le attuali risorse”.