Presentati gli ultimi dati sul ranelato di stronzio, la prima molecola a doppia azione che riattiva la formazione di tessuto osseo e che ha dimostrato di prevenire il rischio di fratture anche dopo 5 anni
Porto, 29 marzo 2007 – Puntare sulla doppia azione: riattivare la formazione di osso nuovo bloccandone la perdita e stimolare così la rigenerazione dei tessuti. È questa la parola d’ordine degli esperti riuniti a Porto per il settimo Congresso europeo sull’osteoporosi e l’artrosi, in corso fino al 31 marzo. Ed è questo il meccanismo dei nuovi farmaci a doppia azione, destinati a rivoluzionare la lotta all’osteoporosi. Malattia che in Europa colpisce una donna su tre e un uomo su cinque dopo i 50 anni. Ma il bilancio si aggrava di anno in anno. “La popolazione anziana è in continuo aumento e così il numero delle fratture – spiega la professoressa Maria Luisa Brandi, direttore dell’Unità Operativa di Malattie del Metabolismo Minerale ed osseo presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze e presidente della SIOMMMS (Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro) – . Con l’avanzare dell’età, aumenta la distruzione di osso e ne diminuisce la formazione. A 60 anni il 30% del capitale osseo è perso: l’obiettivo deve essere ristabilire l’equilibrio per ricostruire i tessuti. Fino ad oggi potevamo solo “limitare i danni”. Ora invece abbiamo a disposizione farmaci a doppia azione che, giorno dopo giorno, permettono di riattivare la formazione di osso ed evitare che si spezzi. Il ranelato di stronzio, capostipite di questo nuovo gruppo di molecole, aveva già dimostrato, a tre anni, di ridurre il rischio di frattura di femore del 36% e di dimezzare le fratture di vertebra. Ma i nuovi dati presentati a Porto ne confermano l’efficacia anche nel lungo periodo: dopo cinque anni riduce del 24% le fratture vertebrali e del 43% quelle di femore in donne a rischio. Si tratta di risultati molto importanti perché è la prima volta che disponiamo di evidenze a lungo termine per le fratture di vertebra e femore”. Questi dati hanno suscitato grande interesse fra i delegati presenti al congresso europeo, che si confrontano sulle modalità più efficaci per combattere la malattia.
L’osteoporosi è una patologia seria che non va per nulla banalizzata o ritenuta un disturbo fisiologico. “Ad un anno dalla frattura di femore, 2 pazienti su 10 muoiono, 5 su 10 non sono più autosufficienti. Solo il 30% torna alla normalità – commenta il prof. Ranuccio Nuti, Direttore del Dipartimento di Medicina Interna e Malattie Metaboliche dell’Università di Siena -. È evidente che i costi diretti e le ricadute sociali sono molto pesanti. Nel 2000 si sono registrati in Europa circa 4 milioni di fratture, per un costo diretto totale di 32 miliardi di euro. Ma si prevede che i costi raddoppieranno e, nel 2050, supereranno i 75 miliardi”.
Una recente ricerca italiana mette a confronto osteoporosi e infarto, con risultati sorprendenti. Lo studio, pubblicato su “Osteoporosis International” del febbraio scorso e presentato nel congresso di Porto, compara i costi sostenuti dal nostro sistema sanitario nazionale per ricoveri ospedalieri dovuti a infarto miocardico acuto e fratture dell’anca. I dati, relativi agli anni 1999-2002, mostrano che a parità di ricoveri, i costi diretti dovuti alle fratture da osteoporosi sono maggiori e crescono più rapidamente di quelli dovuti a infarto. Ma le ossa si spezzano quando la patologia è già in uno stadio avanzato. Bisogna agire precocemente, anche perché dopo la prima frattura il rischio di nuovi episodi cresce in modo esponenziale. L’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) è recentemente intervenuta per favorire la prevenzione primaria dell’osteoporosi. La revisione della nota 79 ha introdotto il concetto di “rischio di frattura”, un importante passo avanti nella lotta alla patologia. Oggi è possibile ottenere gratuitamente i farmaci se sussiste una di queste condizioni: storia familiare di fratture vertebrali, la presenza di una malattia come l’artrite reumatoide, pregresse fratture di polso, menopausa prima dei 45 anni di età, assunzione di cortisone in maniera continuativa. “L’obiettivo della terapia dell’osteoporosi è prevenire le fratture, soprattutto quelle di femore che sono le più gravi. Finalmente possiamo prescrivere ai cittadini che ne hanno bisogno i farmaci necessari – spiega il prof. Nuti – . Va verificata la riduzione della massa ossea, misurata con un semplice esame, la MOC, e la presenza di almeno un fattore di rischio. Un intervento farmacologico precoce e appropriato in presenza di una predisposizione alla patologia o di un suo primissimo esordio, prima che si manifesti la frattura, è determinante per sconfiggere la malattia”. Tra i farmaci ammessi a rimborsabilità anche il ranelato di stronzio, una molecola che, giorno dopo giorno, stimola la produzione di osteoblasti, le cellule ricostruttrici, e di osteopretegerina, una proteina che “protegge l’osso”. La molecola ha dimostrato di possedere una potente efficacia antifrattura, di cui è stata provata la validità indipendentemente dai fattori di rischio. Tra gli effetti osservati negli studi, un notevole incremento della qualità di vita nelle pazienti con fratture vertebrali, che hanno riportato una diminuzione del dolore di schiena, ed un miglioramento del loro stato fisico ed emozionale. Ulteriore vantaggio di questa molecola è l’assunzione giornaliera, che aiuta la paziente a non banalizzare la malattia ed a considerarla per quella che è, cioè una malattia cronica, al pari di altre malattie quali ipertensione, diabete, cardiopatie. È inoltre il solo farmaco ad aver dimostrato un effetto anti-frattura anche nelle pazienti ultraottantenni, per le quali, con il ranelato di stronzio, esistono evidenze di efficacia documentate anche a 5 anni. “I risultati degli studi presentati a Porto ribadiscono l’importanza di questo farmaco – conclude la prof.ssa Brandi -. I nuovi dati confermano l’efficacia anche nel lungo termine nel ridurre il rischio di tutti i tipi di fratture, in particolare quelle di femore. Per questo il ranelato di stronzio va considerato di prima intenzione nella terapia dell’osteoporosi”.