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13 Ottobre 2006

EMATOLOGIA: SONO LE SINDROMI MIELODISPLASTICHE I TUMORI DEL SANGUE PIÙ SCONOSCIUTI

In un seminario il punto su malattie ancora sottostimate che colpiscono soprattutto gli anziani. Scambiate per anemia spesso non vengono adeguatamente trattate

Napoli, 13 ottobre 2006 – Hanno un esordio subdolo con sintomi vaghi, come astenia, affaticabilità, febbricola e spesso il medico ha difficoltà porre una diagnosi certa, elemento essenziale per classificare con esattezza il grado di malattia e impostare una terapia corretta. Si chiamano ‘sindromi mielodisplastiche’ e rappresentano un gruppo eterogeneo di malattie neoplastiche del sangue dovute ad un danno delle cellule staminali del midollo osseo. Oltre all’astenia, altri sintomi sono febbre per infezioni ricorrenti dovute alla neutropenia, e sanguinamento per la piastrinopenia.
E la prova di questa situazione di scarsa attenzione è che in Italia le “Sindromi Mielodisplastiche” sono ancora senza un “D.R.G.” specifico quindi senza un vero riconoscimento di malattia definita e quindi con costi di gestione e cura rimborsabili dal nostro SSN.
“Per affrontare le Sindromi mielodisplastiche (MDS) – spiega la Prof.ssa Valeria Santini dell’Unità Operativa di Ematologia dell’Università degli Studi di Firenze Policlinico di Careggi, direttore scientifico del seminario – a livello terapeutico l’unica opzione curativa è oggi il trapianto, riservato però ad un numero esiguo di pazienti. Per gli altri le alternative sono terapie di supporto, come le trasfusioni, l’eritropoietina e i fattori di crescita.” Anche i dati epidemiologici attuali sono ancora poco attendibili, con una forte sottostima della malattia. Privi di una diagnosi precisa, molti pazienti vengono curati senza successo con vitamine e emoderivati come per una semplice anemia, e solo tardivamente (o addirittura mai) sono indirizzati verso l’ematologo.
Ma il problema non va trascurato. “Nel nostro Paese le MDS colpiscono prevalentemente gli anziani oltre i 65 e ogni anno vengono diagnosticati circa 5 nuovi casi per 100.000 abitanti, che diventano 50 nella popolazione oltre i 70 anni – continua la prof. Santini – In un paese in cui la popolazione anziana è attiva e in crescita numerica è quindi necessaria una diagnosi specifica: inoltre è oggi disponibile anche uno score prognostico, da cui si può evincere nel dettaglio il senso di gravità della patologia . Ad ogni paziente possiamo oggi applicare una terapia ritagliata sul suo stato clinico (pensiamo agli anziani e a malattie concomitanti) e sulla sua malattia diagnosticata e caratterizzata in maniera puntuale”. Ma tra poco saranno disponibili nuovi farmaci destinati a rivoluzionare l’approccio terapeutico al paziente. Tra questi troviamo agenti demetilanti, deacetilanti e cosiddetti immunomodulanti. L’ esperienza maggiore si ha con la 5-azacitidina tra la classe dei demetilanti. Questo farmaco negli USA è già approvato ed in uso comune per tutti i tipi di mielodisplasia.
Diversi studi condotti negli USA hanno dimostrato la capacità della molecola di cambiare la storia naturale della malattia, con un sensibile miglioramento anche della qualità della vita del paziente.

“La nostra esperienza con azacitidina – spiega la Prof.ssa Santini -si sta svolgendo in questi mesi all’interno di un trial europeo di fase III registrativo in cui il nostro centro ha arruolato il maggior numero di pazienti.
Nuovi agenti come gli agenti demetilanti hanno dimostrato efficacia nel trattamento delle MDS, migliorando la funzionalità midollare e un allungamento dei tempi di trasformazione in una leucemia mieloide acuta. L’impiego di questi nuovi farmaci è fortemente consigliato in pazienti affetti da sindromi mielodisplastiche”. Queste nuove terapie sono diverse, non solo come concetto molecolare, ma anche come approccio per il malato che ottiene ottimi risultati con miglioramento della qualità di vita e la reale possibilità di modificare la prognosi della malattia.
“Dopo i primi cicli di trattamento – sottolinea un paziente che ha sperimentato la nuova terapia – ho riscontrato un generale miglioramento delle mie condizioni fisiche, con una graduale diminuzione della frequenza delle trasfusioni, fino alla sospensione ed una ripresa del mio normale stile di vita. Sto meglio, il miglioramento della qualità di vita è netto, non devo sottopormi a trasfusioni ogni 20 giorni e posso permettermi addirittura di andare in motocicletta e correre”.
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