Già aperto un Tavolo di confronto con l’AIFA per applicare quanto viene realizzato in altri Paesi. In un anno aumentati del 50% i medici che temono pressioni sui budget
Napoli, 18 ottobre 2005 – Nel settembre 2004 un oncologo italiano su due (il 53%) si diceva condizionato dal bilancio economico del proprio ospedale nella scelta dei farmaci più innovativi. Dodici mesi dopo, la situazione si è ulteriormente aggravata: otto oncologi su dieci (83%) confessano il proprio disagio per i budget di spesa, che potrebbero pregiudicare l’accesso alle nuove terapie per tutti i pazienti. L’89% ritiene inoltre inadeguate le attuali norme che regolano in Italia l’utilizzo dei farmaci di ultima generazione, tanto che 9 su 10 chiedono all’AIOM di assumere un ruolo di primo piano, non solo nella valutazione scientifica ma anche registrativa. E chiedono interventi urgenti per non rischiare di penalizzare gli oltre 292 mila italiani che ogni anno vengono colpiti da un tumore. I dati emergono dall’ultimo sondaggio promosso dall’AIOM, che ha coinvolto quasi 1000 soci (963), oltre il 50% dell’intera categoria. “Fino ad oggi non dobbiamo registrare situazioni spiacevoli – precisa il prof. Roberto Labianca, presidente nazionale AIOM – tutti i nostri pazienti hanno avuto a disposizione le terapie migliori. Ma la pressione aumenta, il problema sta diventando insostenibile. In Francia è appena stata approvata una legge speciale per i farmaci innovativi e costosi. Anche in Italia ci stiamo muovendo: in questi giorni si è aperto un Tavolo di confronto AIOM-AIFA per valutare sia la possibilità di ottenere una corsia preferenziale per rendere disponibili subito anche in Italia i farmaci innovativi, che di istituire un fondo speciale per i nuovi farmaci, distinto dai costi complessivi dell’attività clinica”. I risultati del sondaggio sono stati presentati nella giornata inaugurale del VII Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica, in programma da oggi al 21 ottobre alla Mostra d’Oltremare a Napoli.
Il sondaggio AIOM ha preso come esempio paradigmatico della realtà che sta vivendo l’oncologia italiana un farmaco innovativo, il trastuzumab, utilizzato finora e potenzialmente salvavita per il 25% delle pazienti con tumore al seno metastatico che esprimono il recettore HER2. Ogni anno in Italia si ammalano di questa neoplasia 36.600 donne: nonostante i grandi progressi della ricerca si tratta ancora della prima causa di morte nella fascia d’età tra i 35 e i 44 anni.
Tre studi clinici presentati all’ultimo congresso dell’American Society of Clinical Oncology hanno dimostrato che questa molecola, in combinazione con altri chemioterapici, svolge un’azione importante già in fase adiuvante, per rafforzare con i farmaci l’effetto della chirurgia. “A questo punto però – spiega il dott. Marco Venturini, membro del direttivo AIOM – si pone un duplice problema: di fronte ad evidenze così forti è giusto utilizzare il farmaco anche fuori indicazione, quindi con un incremento di costi? E se sì, è possibile farlo oggi in Italia? Il 64% degli oncologi risponde che il farmaco va dato comunque: il 53% ne parla con le pazienti e decide caso per caso; l’11% non ha dubbi: lo propone a tutte. Ma il principio etico su cui si fonda questa scelta si scontra con la quotidianità. Tanto è vero che, come abbiamo visto, l’89% di chi ha partecipato al sondaggio ritiene che le attuali normative non siano adeguate a gestire il fuori indicazione supportato da forti evidenze cliniche.. Un altro aspetto da sottolineare e dimostra l’attualità e l’urgenza di quanto stiamo discutendo è che la partecipazione al sondaggio è stata altissima – 963 colleghi su 1800 iscritti all’AIOM – e che il 100% di chi ha risposto era a conoscenza degli studi clinici a cui facevamo riferimento”. Ma gli oncologi temono anche ritardi nei tempi di utilizzo dei farmaci innovativi.
“In base alle statistiche – aggiunge il dott. Carmelo Iacono, segretario nazionale AIOM – dal 1995 al 2003, l’EMEA, l’ente regolatorio europeo, ha impiegato 471 giorni, trenta dei quali utilizzati per la sola traduzione dei documenti per l’approvazione di un farmaco antitumorale. Un anno e mezzo, a cui vanno sommati i mesi necessari alle autorità regolatorie dei vari Paesi, che dilatano l’attesa dei pazienti a oltre due anni. Una situazione insostenibile, soprattutto per chi è costretto a vivere un tempo non suo, ma quello scandito dalla malattia; paradossale per noi medici, che conosciamo le potenzialità di alcune molecole e non sempre le possiamo utilizzare su larga scala, per problemi di indicazione d’uso o, sarebbe peggio ancora, di costi”.
“Noi oncologi – prosegue il prof. Emilio Bajetta, presidente eletto AIOM (entrerà in carica alla fine di questo congresso) rivendichiamo il diritto a utilizzare una terapia nel momento che viene documentata scientificamente la sua efficacia. Con AIFA abbiamo definito l’avvio di uno studio nazionale sull’uso off label delle molecole, cioè per un’indicazione diversa da quella stabilita al momento dell’approvazione. Un uso già consentito, ma che comporta difficoltà di spesa e di ordine medico legale. Per quanto riguarda i costi – argomenta Bajetta – è nostra intenzione intervenire sui meccanismi tecnici della rimborsabilità. Per noi specialisti la priorità deve essere ovviamente il paziente cui dobbiamo garantire tutti gli strumenti terapeutici che la ricerca mette a disposizione dopo che questi hanno superato le evidenze scientifiche e l’analisi degli organismi regolatori”.
In altri Paesi le preoccupazioni riportate nel sondaggio dell’AIOM hanno già visto l’intervento delle istituzioni. “In Canada e in Gran Bretagna – conclude Venturini – è previsto un rimborso rapido, in Germania l’utilizzo del farmaco in adiuvante è già entrato nelle Linee Guida, così in Francia, dove il trastuzumab viene dispensato secondo le specifiche dei trial ricordati. In Svizzera hanno aumentato il rimborso previsto, proprio in funzione delle nuove evidenze, mentre in Spagna la terapia viene utilizzata per uso compassionevole, pagata però dallo Stato”.