Esperti internazionali ne parlano il 25 e 26 aprile in un congresso a Montecarlo
Roma, 19 aprile 2002 – Sul podio malgrado l’asma. In campo a giocarsi il campionato o in bicicletta ad arrampicarsi sul Tourmalet nonostante un’aritmia cardiaca. Sono centinaia gli atleti professionisti, anche di primissimo piano, che oggi convivono con patologie fino a poco tempo fa considerate incompatibili con la pratica sportiva. Nomi non se ne fanno, per comprensibili questioni di privacy, ma numeri ed evidenze che documentano gli straordinari progressi della scienza medica ce ne sono tanti. Per esempio si sa che “il 31,3% degli atleti italiani presenti due anni fa ai Giochi di Sidney – spiega il prof. Sergio Bonini, Past President dell’European Academy of Allergology and Clinical Immunology – aveva almeno una manifestazione allergica e il 10,9% era asmatico”. O che a volte basta un intervento a torace chiuso per regolare definitivamente il battito ‘ballerino’ di un cuore. Il filo doppio che lega la medicina allo sport, sia agonistico che amatoriale, sarà al centro dell’attenzione di un congresso internazionale in programma il 25 e 26 aprile prossimi nel Principato di Monaco. Le giornate di studi – che hanno per titolo Sport & Science e sono organizzate dall’AIM di Roma, un gruppo che da 40 anni opera a 360% nel campo della comunicazione medico scientifica – vedranno per la prima volta alcuni tra i maggiori esperti italiani di cardiologia, ortopedia e traumatologia, gastroenterologia, asma e allergie, scienze neurologiche, dibattere sulle implicazioni che ognuna di queste branche della medicina ha con l’attività sportiva. Nel corso dei lavori gli scienziati parleranno inoltre di etica dello sport, di farmaci e di doping.
“Nell’80% dei casi – spiega il dott. Alessandro Biffi, cardiologo dell’Istituto di Scienza dello Sport del Coni – l’inidoneità alla pratica agonistica è dovuta a problemi cardiologici e, tra questi, il 50% è rappresentato dalle aritmie. Oggi però non tutte queste manifestazioni pregiudicano l’attività sportiva e proprio per questo ogni cinque anni la Società Italiana di Cardiologia dello Sport e le altre Società scientifiche della cardiologia (SIC, ANMCO, ANCE, FMSI), si riuniscono per valutare gli avanzamenti della ricerca in ambito cardiovascolare e aggiornare di conseguenza le linee guida, in modo da ampliare, se possibile, lo spettro delle persone a cui concedere il nulla osta all’agonismo. A volte, tra l’altro – prosegue Biffi – abbiamo visto che l’aritmia è un fenomeno assolutamente transitorio, dovuto semplicemente a squilibri idroelettrolitici: in eventi del genere basta quindi riequilibrare gli ioni e l’aritmia scompare”. In ogni caso – concordano gli esperti – lo snodo di tutto è la diagnosi precoce, e in questo l’Italia è sicuramente all’avanguardia. Nel nostro Paese – rispetto per esempio alla Germania o alla Grecia, dove nemmeno per i professionisti è obbligatorio un elettrocardiogramma – l’idoneità all’attività sportiva è regolata per legge, anche per gli amatori. E la visita prevista, che comprende un’auscultazione del cuore, l’elettrocardiogramma di base, uno dopo sforzo al gradino, una spirometria e l’esame delle urine, mette in guardia da pericoli e preserva da qualsiasi sorpresa.Ma la diagnosi precoce, la semplice correzione delle abitudini alimentari e una terapia farmacologica adeguata, non solo possono consentire la pratica sportiva ma anche migliorare le prestazioni. Pochi forse sanno – riferisce il prof. Lucio Capurso, primario del Dipartimento di Gastroenterologia del San Filippo Neri di Roma – che i disordini gastro-intestinali, presenti nel 30-40% degli atleti, specie nei maratoneti o in chi pratica triathlon e decathlon, possono portare ad una diminuzione del 10% delle performance. Lo stesso discorso vale più o meno anche per i traumi. “Da dieci anni a questa parte – afferma il prof. Andrea Ferretti, ordinario di Ortopedia alla Sapienza di Roma e medico della Nazionale Italiana di calcio – si è assistito a un aumento significativo degli infortuni. E le motivazioni sono sicuramente molteplici. Vi è stata innanzitutto una modifica nelle caratteristiche del gioco: il calcio è più veloce, si corre di più, i cambi di direzione sono più rapidi. In questo modo i tempi di reazione, quelli cioè che permettono ad un atleta di mettere in atto le difese naturali e gli adattamenti muscolari necessari a modificare le situazioni di equilibrio, si sono ridotti tantissimo. A tutto ciò va aggiunto l’aumento del numero delle competizioni e l’accorciamento dei tempi tra una competizione e l’altra. Dopo una partita sarebbe invece necessario un riposo di alcuni giorni. Così facendo però l’organismo non fa mai in tempo a recuperare tutto quello che ha speso. E una struttura che non recupera è sicuramente più esposta al rischio di infortunio. Per questo il nostro interesse prioritario – sostiene quindi Ferretti – è che, attraverso una diagnosi precoce e un trattamento immediato, si possa evitare al giocatore di sottoporre l’articolazione a sollecitazioni non idonee, aggravando una patologia articolare che può portare nel tempo anche ad un’artrosi post traumatica”.
Un aspetto poco considerato ma sicuramente importante è l’equilibrio psicologico degli atleti: l’ansia da prestazione, che colpisce il 7% delle persone, soprattutto gli uomini o i disturbi di adattamento, con i compagni o con l’allenatore – evidenzia il prof. Luigi Ravizza, ordinario di Psichiatria all’Università di Torino – se non vengono capiti e curati per tempo possono portare a conseguenze anche gravi. Parlando di salute è inevitabile infine fare un accenno al doping e all’etica sportiva. “La salute degli atleti – chiarisce il prof. Fabio Pigozzi, della Commissione medica del CIO – rappresenta una priorità per il Movimento Olimpico, un punto di partenza che deve essere salvaguardato con ogni mezzo. La ricerca esasperata di nuovi limiti e il conseguente giro di affari legato alle prestazioni degli atleti, rappresentano ormai una quotidiana minaccia per lo sport. E l’atleta sempre più spesso paga con la salute un prezzo altissimo per una folle corsa al record e alla prestazione straordinaria ad ogni costo”.