Anche in Italia disponibile gratuitamente il capostipite degli inibitori della fusione. Triplica l’aspettativa di vita. Un’arma efficace contro il problema-resistenze
Taormina, 16 dicembre 2004 – Una nuova concreta speranza di tener sotto controllo l’Aids è a disposizione dei pazienti colpiti dall’infezione da Hiv che in Italia sono oltre 100.000, di cui 40.000 seguono una cura: è l’enfuvirtide, capostipite di una nuova classe, gli inibitori della fusione, che si differenziano dal tradizionale ‘cocktail’ anti-aids perché bloccano il virus prima che questo entri nelle cellule. Dalla scorsa settimana è stato inserito in fascia H cioè a completo carico del sistema sanitario. Va utilizzato in terapia di associazione, ma le attuali indicazioni prevedono l’uso solo quando le altre terapie falliscono perchè il virus ha mutato forma diventando resistente. Non solo, nuovi studi in corso stanno valutandone l’uso anche in altri casi, come l’intervento immediato nelle persone – e sono molte, circa il 40% – che giungono tardi alla diagnosi di malattia ed hanno il virus molto attivo. Le buone notizie arrivano dall’ultima giornata del meeting organizzato a Taormina per fare il punto della situazione sulle terapie anti-HIV con i massimi esperti italiani. “Attualmente il 10-12% dei sieropositivi ha ormai sviluppato resistenze nei confronti di quasi tutte le molecole disponibili – spiega il prof. Giampiero Carosi, direttore della Clinica di Malattie Infettive dell’Università di Brescia – e anche la stessa circolazione di ceppi resistenti in pazienti naive, cioè mai trattati, sta aumentando in tutto il mondo”. La decisione delle autorità italiane di passare in fascia H la molecola è stata presa sulla base degli ultimi risultati degli studi Toro dai quali emerge che l’enfuvirtide è in grado di tenere sotto controllo l’Hiv ‘resistente’ per quasi 2 anni (96 settimane almeno, cioè la durata degli studi) nel 17% dei pazienti mentre con la terapia tradizionale in genere si arriva oltre i 6 mesi solo nell’8% dei casi. Ma non basta. “Il risultato clinico maggiore di questi studi – spiega il prof. Adriano Lazzarin, ordinario di malattie infettive all’Università “Vita Salute” San Raffaele di Milano – è l’aumento dei CD4 cioè le cellule del sistema immunitario colpite dal virus oltre il valore soglia di 100, che si registra nel 31% dei casi e si prolunga sempre per 96 settimane contro il 10% degli antiretrovirali tradizionali che arrivano appena a 48 settimane. Un risultato doppio, dunque, che permette di dare aspettativa di vita in particolare a chi ha sviluppato resistenza agli antiretrovirali”.
La nuova molecola fa parte della classe degli inibitori della fusione che, non replicando il meccanismo d’azione delle altre categorie di farmaci, sono attivi anche nelle infezioni resistenti alle cure tradizionali e si somministra per iniezione sottocute una volta al giorno, non per bocca come gi altri. “Modalità – precisa Lazzarin – però ampiamente ripagata dall’abbassamento della morbilità e della mortalità che il farmaco determina”. “Un paziente pluritrattato e resistente alle terapie correnti – spiega il prof. Giovanni Di Perri, ordinario di malattie infettive all’Università di Torino – risponde invece agli inibitori della fusione, farmaci che oltre alla loro potenza antivirale presentano minori effetti collaterali. Infatti, non entrando all’interno della cellula, non interferiscono nemmeno con i meccanismi metabolici responsabili di effetti collaterali a medio e lungo termine causati dalle terapie tradizionali e cioè danni epatici, sui nervi periferici, sul metabolismo dei grassi e aumento del rischio cardiovascolare e di diabete nelle persone predisposte”.
Data la capacità dell’enfuvirtide di abbassare bruscamente il virus, sono in corso numerosi studi per capire se possa essere impiegato anche come terapia iniziale dell’Aids. “Riteniamo infatti che – sottolinea Di Perri – per le sue caratteristiche, la molecola possa essere utilizzata anche prima di arrivare al multifallimento. Già al primo step o addirittura in una strategia di attacco immediata, parallelamente ad una terapia antiretrovirale a lungo termine. Pensiamo a pazienti già ad alto rischio cardiovascolare o con un sistema immunitario estremamente depauperato, in fase avanzata (sono molti, circa il 40% delle nuove infezioni), con una carica elevata di virus circolante. Almeno inizialmente – ribadisce Di Perri – questo paziente deve essere sottoposto alla più robusta delle terapie possibili. Gli inibitori della fusione, magari sospesi dopo 3-6 mesi, possono portare benefici altrimenti non ottenibili”.
La terapia dell’Aids in poco tempo ha compiuto passi da gigante, abbassando drasticamente la mortalità che nei primi anni dell’epidemia era del 100%. Malgrado i successi ottenuti, ancora oggi il 10% dei pazienti muore. “Il vero nemico resta la farmaco-resistenza dell’HIV – conclude il prof. Carosi – poiché il virus continua a cambiare forma producendo miriadi di mutanti resistenti. La mossa vincente, almeno nel medio periodo, è l’introduzione di nuove classi di farmaci antiretrovirali. Va in questo senso l’ultimo più innovativo approccio, quello relativo a farmaci che agiscono all’esterno della cellula”.
Ma la prevenzione e la conoscenza rimangono le vere armi vincenti: proprio per questo al meeting di Taormina è stata presentata la pubblicazione ‘Aids, porte chiuse al virus’. Un booklet agile che, con un linguaggio semplice, informa pazienti e cittadini sull’infezione, sulla sua epidemiologia, sui modi di trasmissione, sulle terapie, sugli effetti collaterali e sulle ultime novità della ricerca. E’ promosso dalla Simast (Società Interdisciplinare per lo Studio delle Malattie Sessualmente Trasmissibili) e verrà diffuso nelle divisioni di infettivologia italiane.