Alla Sala del Cenacolo della Camera il secondo appuntamento del ciclo “Incontri interdisciplinari sui grandi temi dell’uomo contemporaneo”
Roma, 22 marzo 2004– La carica aggressiva contenuta in molti programmi televisivi, film e videogiochi non solo crea uno spavento immediato nei bambini ma incide anche nella loro maturazione psicologica, accelerando le tappe maturative. “Potremmo definirla come una sorta di ‘adultismo mediatico’ – spiega il prof. Rosario Sorrentino, neurologo e membro dell’Accademia Americana di Neurologia – ed è l’estrema conseguenza dell’aggressività assorbita da spettacoli violenti. Trattati come adulti, i bimbi ricevono delle vere e proprie ‘scosse’ evolutive, bruciano le tappe abbagliati da scene di violenza trasmessa senza filtri dai mezzi di comunicazione. E diventano adulti aggressivi”. Anche le immagini degli attentati dell’11 settembre e dell’11 marzo rientrano in questa categoria. “Per questo – aggiunge il prof. Sorrentino – dobbiamo rivedere gli standard della comunicazione, promuovere l’istituzione di un task force, di un tavolo di lavoro che consenta l’incontro tra i politici, i rappresentanti dei mass-media e gli opinion leaders. L’obiettivo è far si che i responsabili della diffusione delle notizie scelgano, senza censure, sempre il profilo più basso possibile, creando una sorta di ‘no-fly-zone’ della comunicazione non solo a tutela dell’utente ma anche come politica per il contenimento dell’ansia e delle reazioni comportamentali che insorgono tra un tragico evento e l’altro”. L’aggressività dunque come reazione alla violenza e alla paura. E di aggressività si è parlato al secondo incontro del ciclo “Incontri interdisciplinari sui grandi temi dell’uomo contemporaneo” ideati dal prof. Sorrentino dal titolo “Aggressori o aggrediti?”, che si è svolto oggi a Roma alla presenza del sostituto procuratore del tribunale dei minorenni di Roma, Simonetta Matone e della psicoanalista Paola Vinciguerra.“Dopo l’approfondimento della ‘paura globale’, e partendo da questi presupposti – spiega il prof. Sorrentino – abbiamo affrontato il tema dell’aggressività, una ‘psicopatologia sociale collettiva’ che l’uomo contemporaneo sta coltivando da troppo tempo senza rendersene conto. Una aggressività ‘pret-a-porter’, sempre pronta, che troviamo ovunque. Inoltre stiamo assistendo ad una forma di aggressività scientificamente globalizzata e fortemente legata alle immagini. Quella dei terroristi è una aggressività mediatica che utilizza la comunicazione come mezzo di propaganda”.
“L’informazione, la pubblicità, la politica, l’economia – aggiunge la dr.ssa Paola Vinciguerra, psicoanalista – concorrono a produrre tensioni esterne all’individuo con conseguenze deleterie all’interno della famiglia e nella formazione delle nuove generazioni. Si deve constatare che l’uomo è quindi spesso degradato a strumento nelle mani di un altro uomo. Nelle attuali condizioni sociali si rivela estremamente problematica una “libera” formazione della personalità in quanto gli individui sono ostacolati, bloccati o deviati nel loro sviluppo soffrendo continue frustrazioni. Questa impossibilità di autorealizzazione costituisce la fonte perenne dell’aggressività, che si configura come una sorta di compensazione, un tentativo, indubbiamente improprio, di collocarsi come soggetti sottraendosi alla condizione umiliante di semplice oggetto e strumento”.
In questi ultimi anni, spiegano gli specialisti, si è sviluppata un’eccessiva competitività all’interno della società, che ha pianificato i minuti della nostra esistenza sul mito del profitto, dell’affermazione e della competizione, dimenticando troppo spesso regole e valori altrettanto importanti quali le leggi, la tolleranza, l’educazione, la generosità e la solidarietà.
“Siamo oggi di fronte ad un circolo che sembra inarrestabile – aggiunge il prof. Sorrentino – e l’unica soluzione è partire dalle nuove generazioni attraverso l’applicazione di una pedagogia per insegnare comportamenti di natura non aggressiva. Non dimentichiamoci infatti che la forma più pericolosa e inquietante di aggressività è quella che si sviluppa nei giovani e nei bambini dando luogo a fenomeni come le ‘baby gang’ e il bullismo. In queste situazioni i giovani diventano aspiranti adulti aggressivi. In questo lavoro è fondamentale anche il coinvolgimento delle famiglie e della scuola come principali ‘agenzie di formazione e di socializzazione’ dell’individuo. È necessario promuovere incontri generazionali per interrompere quel gap, quel conflitto nella comunicazione, che esiste tra genitori e figli. E proporre ai genitori modelli pedagogici educativi, primo tra tutti il caro principio del ‘saper dire di no’. Altrimenti il mondo apparirà a questi bambini come un mondo senza regole dove tutto è possibile e tutto è concesso. D’altra parte la pubblicità nei suoi messaggi opera al di fuori della realtà considerando i bambini come degli adulti bonsai, degli adulti in miniatura”.